Perchè acqua sei e all’acqua ritornerai

 

 

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La tempesta catabattista

Tra il I e il V secolo dopo Cristo l’Asia minore, dall’Egitto al mar Nero, fu attraversata e in parte sconvolta dalla corrente ereticale detta “catabattista”. Questi cristiani estremisti trassero il proprio nome dal greco katá (giù, in basso) e baptistes (deriv. di baptismós, immersione, o forse di bathýs, profondo), a significare “coloro che si immergono in basso” o “coloro che scendono nel profondo” – questo per rivendicare, come altri prima di loro, il legame col fondamento primo, con l’origine di tutto.

Polemisti e difensori della vera fede li accusarono di adorare divinità pagane (Dagon, Poseidone, semplici ninfe) o idoli in cui il volto del Cristo era deformato in quello di un rospo; di avere commerci illeciti con imprecisate ma temibili creature mostruose degli abissi marini, che Basilio di Cesarea chiama «Quelli del profondo»; di macchiarsi, infine, di crimini nefandi come l’annegamento dei neonati o l’uccisione e lo sventramento delle donne gravide al fine di berne le acque. Queste accuse, pur nella prevedibile esagerazione, alludono a un rapporto privilegiato con l’elemento liquido; è appunto seguendo queste tracce equoree che sarà possibile ricostruire la vicenda catabattista.

Origini

Già nel pantheon sumerico e poi babilonese è centrale il concetto di Apsu, il luogo delle acque cosmiche sotterranee da cui traggono origine i fiumi, ma che rappresenta anche le acque profonde in cui vivono i pesci e la dimora di Ea (Enki), dio dell’acqua e della saggezza, plasmatore del mondo. Su un piano concreto l’Apsu era un bacino o pozzo rituale situato nei templi (vedremo come i catabattisti attribuiranno la massima importanza a oggetti e pratiche di culto rispecchianti entità di livello cosmico). L’immagine di Apsu quale origine di tutto si precisa nell’Enuma Elish, dove diventa la personificazione delle acque primordiali, che confonderà con quelle della sposa Tiamat per dare alla luce l’universo primordiale e caotico; e in questa connessione con il caos rileviamo un elemento di ambiguità, inestricabile dalla costellazione concettuale in cui l’acqua si situa, destinato a riaffiorare nel pensiero catabattista e ad esservi stigmatizzato dai polemisti cristiani. Il fatto che il termine Apsu passi nel pensiero greco, come dimostra il calco apason presente in Damascio, mostra come nel bacino mediorientale certi concetti fluiscano da una cultura all’altra e attraverso i secoli.

Con tali premesse, non stupisce che prima il mondo giudaico e poi quello cristiano abbiano contribuito alla speculazione sull’essenza creativa e soprattutto purificatrice (in quanto ricreativa) delle acque. I catabattisti filtreranno queste riflessioni come per trarne l’essenza e le faranno confluire nella propria visione del mondo.

In Isaia 1,16 ed Ezechiele 36,25 l’immersione in acqua emenda dai peccati, perciò presso i giudei l’abluzione è un rito rinnovato spesso: «i farisei infatti e tutti i giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito», (Marco 7,2-4). In Giovanni 2,6, nel raccontare le nozze di Cana, si riferisce che «vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei giudei, contenenti ciascuna due o tre barili». Si tenga presente anche il I Libro dei Re, 7,23 sgg., dove è descritto il bacino del Tempio, un grande serbatoio di acqua lustrale. È interessante notare che la Bible de Jérusalem traduce il termine “bacino” con “il mare”, indicando la probabile presenza di un senso superiore: il serbatoio rappresenterebbe, così, il mare cosmico.

Troviamo poi la descrizione della Gerusalemme celeste di Apocalisse 22,1-2, dove un fiume d’acqua scaturisce dal Trono di Dio e dell’Agnello e divide la piazza della città in due e su ognuna delle due sponde cresce un albero di vita. Questa descrizione riprende sostanzialmente quella di Genesi 2,10-14, dove si parla dell’Eden.

Un elemento importante nella speculazione catabattista è l’elaborazione concettuale della distinzione che troviamo in Genesi 1,6-9 fra acque inferiori (terrestri, attinenti alla sfera umana, dette dagli eretici “acque secche”, forse sotto l’influenza dell’atrýgetos póntos, il “mare infecondo” di Omero) e acque superiori (corrispondenti alle prime ma prossime al divino, dunque “vere acque” e anche “acque umide”); sull’acqua «superiore» (hypér hýdor) si può confrontare Giovanni 4,10-15 («acqua viva») e 3,3-5: «[…] rispose Gesù: “In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio”».

In questo passo si stabilisce una connessione fra acqua, spirito (dunque acqua di un genere superiore), rinascita, grembo trasfigurato (porta, dunque, per il passaggio a uno stato superiore dell’essere). Del resto, almeno nelle prime comunità cristiane il lavacro battesimale aveva natura di immersione totale, per cui veniva considerato come un seppellimento simbolico insieme a Cristo, mentre il rivestirsi dopo la cerimonia come un passaggio a nuova vita[1].

Va specificato che i catabattisti individuavano (più o meno esplicitamente da gruppo a gruppo) la sede delle acque superiori nell’abisso, attuando un’apparente inversione: “apparente” perché li confortava quanto scritto da Paolo in I Corinzi, 13,12: «ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa», che giustificava e anzi rendeva necessario il rovesciamento spaziale.

Riti e credenze

I catabattisti prendono le mosse dalla concettualizzazione neotestamentaria dell’elemento equoreo (radicata, come visto, in un contesto più ampio) e cercano di trarne tutte le conseguenze teologiche, etiche e soteriologiche.

La figura centrale di questo processo di rilettura e reinvenzione è ovviamente quella del Cristo; nella sua biografia terrena sarà soprattutto l’episodio della guarigione del cieco nato (Giovanni 9,1-12), che i catabattisti giudicheranno illuminante: in esso, infatti, la natura umana è presentata come corrotta (incapace di conoscere la verità) fin dal principio e bisognosa di un intervento salvifico, che prende la forma di una donazione delle acque. È con la propria saliva che il Cristo trasforma la terra nel fango con cui coprirà gli occhi del cieco ed è in una vasca colma d’acqua che gli ordinerà di lavare gli occhi: non sfugge che il Cristo è sia signore, sia fonte egli stesso di acque che sanano. La sua funzione (classica, ortodossa) di tramite e di salvatore è dunque declinata in un senso particolare e, soprattutto, congiunta in un nodo inestricabile al suo corpo.

Ecco, dunque, poste le premesse dello scandalo: il Cristo è inteso come bátrachos (rana, vale a dire anfibio, dotato cioè di una vita doppia, acquatica e terrestre), disceso dalle “acque superiori” (hypér hýdor) sulla terra abitata dagli umani per redimerli e infine (cioè alla fine della sua missione) tornare al mare (superiore).

L’identificazione di Cristo col pesce, diffusa nel cristianesimo primitivo, mostra che questa linea di riflessione era ben attiva, all’epoca, e che i catabattisti non hanno fatto altro che svilupparla. Va detto che il Cristo bátrachos era essenzialmente una metafora, almeno prima di diventare un simbolo, quando frange radicali del movimento iniziarono ad adorare immagini con fattezze di anfibio, suscitando l’orrore e lo sdegno degli altri cristiani.

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Sopravvivenza iconografica catabattista. Icona cristiano-ortodossa, XIII secolo, Acquario-Museo dell’Istituto di biologia dell’Accademia delle scienze, Sebastopoli.

 

Discende da questa contrapposizione fra alto e basso la ricostruzione dell’acqua superiore come Vera Madre del Cristo, alla quale corrisponde una Madre Inferiore: si parlerà di una Maria Hýdria (equorea, vale a dire divina)[2] contrapposta una Maria Geòdes (terrestre, vale a dire umana), la prima madre del Cristo divino, la seconda dell’uomo Gesù, in ossequio a una vena docetista che attraverserà tutto il movimento[3].

Per quanto riguarda la sfera rituale, dal mondo giudaico i catabattisti trarranno l’ossessione per la purezza e la purificazione: i farisei infatti osservavano rigorosamente i precetti di purità ma le frequenti abluzioni o immersioni che praticavano non significavano un passaggio definitivo dal mondo dell’impuro alla comunità dei puri, perché la purezza doveva essere ricuperata continuamente, mediante ulteriori abluzioni e immersioni, dopo che atti volontari o involontari l’avevano pregiudicata. Solo col battesimo (praticato da battisti, emerobattisti e masbotei e sviluppato dai cristiani) si porrà l’esigenza e si affermerà la possibilità di un mutamento definitivo di stato. I catabattisti elaboreranno dunque questi stimoli in una sintesi estrema e originale.

Da questa impostazione, secondo cui le acque donano la purezza ma garantiscono anche la salvezza una volta per tutte, discendono sia un impulso escatologico che questa comunità manterrà a lungo inespresso (e che troverà esplicazione solo al termine della sua vicenda), sia le pratiche rituali e gli usi che furono comuni ai vari gruppi catabattisti, fatte salve alcune divergenze dottrinarie: ricordiamo il parto in acqua (durante il quale spesso i neonati annegavano – evento che per i catabattisti era occasione di gioia, perché il fanciullo era a loro dire «tornato in seno alla madre per essere riconsegnato al Padre», e che attirò su di loro l’accusa di affogare intenzionalmente i nuovi nati); l’utilizzo come specie consacrate per la comunione non di pane e vino ma, come racconta Tertulliano intorno al 200, di muria (acqua salata) e perca (pesce persico)[4]; il consumo di molta acqua, bevuta per «sciogliervi la terra», vale a dire purificare il corpo, e di alimenti liquidi o di origine marina o fluviale (nel primo caso per un’estensione analogica della funzione salvifica a tutti i liquidi, visti in opposizione agli alimenti solidi, «secchi» e «immobili», nel secondo per la convinzione che i pesci fossero meno terrestri e impuri); in generale, la ricerca di un rapporto (e anche contatto) stretto e continuo con l’acqua.

Se, infine, è probabilmente da escludere che i catabattisti uccidessero le donne incinte a fini rituali, è però vero che identificavano i liquidi amniotici con la bevanda spirituale di cui parla Paolo in I Corinzi 10,1-5[5].

Tendenze

I polemisti cristiani (Lattanzio, Gregorio Nazianzeno, Gregorio Nisseno, Rabbula di Edessa, Basilio di Cesarea) definiscono i seguenti rami del fiume ereticale catabattista:

pitici (dal gr. pýthos, nome di un grosso vaso per liquidi o granaglie – in lat. indicato come dolium, botte – simile a una giara): coi pitici siamo in presenza della fase arcaica dell’eresia, quando era ancora una tendenza particolare dei gruppi giudeo-cristiani e non possedeva che una minima organizzazione sociale, con scarsa coerenza ideologica. In sostanza il termine indica quegli eretici che pur continuando a vivere una vita regolare s’immergevano periodicamente (anche per lungo tempo) fino al collo in orci simili a quelli usati per la purificazione. Lo stretto contatto con l’acqua era dunque già venuto in evidenza ma non aveva ancora subìto la radicalizzazione ideologica alla quale sarebbe andato incontro nei secoli successivi: siamo, dunque, ancora in presenza di un “semplice” precetto di purità. In seguito il termine passa a indicare anche quelle microcomunità che si riunivano per vivere in una vasca o piscina o coloro che, essendo lontani dal mare (o da un qualsiasi corso d’acqua), continuavano a immergersi negli orci (tendenze sporadicamente presenti in microcomunità della Galazia o della Cappadocia). Non è possibile precisare se questa seconda accezione del termine, che cronologicamente è più tarda, faccia riferimento agli stessi costumi ideologici o non sia invece già più radicale (come accade nel caso dei pelagiani);

pelagiani o talassiani (secondo Basilio di Cesarea; dal gr. pélagos o thálassa, mare): eretici comunitari, con una rigorosa organizzazione sociale, vivevano in palafitte costruite sotto il pelo dell’acqua in zone marine o lacustri poco profonde. Queste comunità svilupparono la vera ideologia catabattista, fornita di testi dottrinali basati sull’esegesi biblica ed evangelica. In questa fase il movimento sviluppa caratteri ideologici peculiari (mentre in precedenza si caratterizzava, tutto sommato, per una semplice estremizzazione di alcuni precetti farisaici) e l’aspetto della reiterazione battesimale si fa prioritario, fino a diventare un “battesimo continuo”, ossia la risposta all’esigenza di vivere senza interruzione nell’acqua al fine di mondarsi costantemente dal peccato (vale a dire: da un peccato che costantemente li assedia), oppure di vivere in una dimensione, quella dell’acqua battesimale, scevra dal peccato (approdando così a una realizzazione compiuta dei presupposti simbolici e mitici della visione catabattista). A tale scopo, nelle rare uscite all’asciutto a cui questi eretici si vedevano costretti, venivano indossati panni bagnati affinché il contatto con l’acqua purificatrice non venisse mai meno. Tali comunità, ben riconoscibili, saranno le prime vittime dell’aggressione dei gruppi cristiani ortodossi;

abissali (dal gr. ábissos, privo di fondo): tendenza tarda ed estremistica del catabattismo, i cui adepti predicavano la necessità di ritornare in mare aperto e a tale scopo cercavano di riabituarsi gradualmente alla vita subacquea; probabilmente questo cambiamento è dovuto, oltre che a necessità spirituali, a esigenze difensive, in seguito agli attacchi e alle persecuzioni che accompagnarono la condanna del catabattismo. Gli abissali praticavano tecniche di estasi basate sull’ipossia da annegamento per entrare in contatto con la divinità ed è a questa tendenza che devono essere probabilmente ascritti i numerosi episodi di estremismo e perfino i delitti riferiti dai polemisti cristiani (come, forse, il sacrificio rituale delle donne incinte e l’annegamento dei neonati). Ovviamente sono gli abissali che iniziano a venerare immagini del Cristo bátrachos (non crocifissi – anche per l’influsso docetista – bensì statue o dipinti sul tipo del Cristo precettore);

apnoici (dal gr. ápnoia, mancanza di respiro): gruppi ascetici, minimali quanto a numero di aderenti, in cui erano messi in pratica ed estremizzati gli insegnamenti degli abissali: poiché la pratica di vivere sulle palafitte con l’acqua all’altezza del petto (tipica della frangia meno radicale dei pelagiani) era considerata come una sconsideratezza – giacché lasciava scoperta la testa, dove fermentava ogni nequizia (nell’incertezza, qui, fra una visione metafisica e una psicologica del peccato) –, questi eretici andavano a sommergersi in mare aperto e non facevano più ritorno. Gli apnoici, infatti, invocavano Paolo (Romani 6,1-4 e 8,11) per dimostrare che il battesimo dev’essere completo e radicale, uguale alla passione del Cristo, vale a dire alla morte dell’uomo Gesù e allo «spargimento delle acque» di Giovanni 19,34 (nel senso della liberazione delle acque dal corpo terrestre e del loro ritorno alla sfera equorea superiore).

Storia

Dalla Palestina, suo luogo d’origine, l’eresia si diffonde da un lato in Fenicia e poi in Siria, dall’altro in Egitto, per raggiungere poi le provincie africane dell’Impero, colonizzando le coste della Cirenaica e della Tripolitania, e tutte le provincie asiatiche che si affacciano sul Mediterraneo, dalla Cilicia all’Ellesponto, nonché Cipro, Rodi e alcune isole egee; gruppi catabattisti, attraverso la Cappadocia e la Galazia, arrivano fino alle provincie del Ponto sul Mar Nero (Elenoponto, Paflagonia, Onoria, Bitinia). La massima espansione del movimento è databile alla prima metà del IV secolo.

Direttrici di espansione dell’eresia.

Direttrici di espansione dell’eresia.

 

In alcuni luoghi i pescatori, ancora impregnati di paganesimo, venerano i catabattisti più radicali come divinità marine; altrove, in regioni cristianizzate, come santi asceti. Tuttavia, già alla metà del II secolo, Ireneo di Lione – almeno se dobbiamo credere a quello che scrive Ambrogio – metteva in guardia da questi eretici chiamandoli «adoratores draconis» (o «adoratores leviatani») e invitando a meditare sul passo di Apocalisse 21,1 in cui si parla della scomparsa del mare alla fine dei tempi.

Condannata al concilio di Nicea del 325, l’eresia catabattista si inaridì lentamente, sia per le persecuzioni imperiali (o per i moti spontanei della popolazione sobillata da agitatori ecclesiastici), sia per la svolta che il movimento subì quando la corrente degli abissali prese il sopravvento.

In un primo momento i catabattisti avevano cercato di difendersi dalla persecuzione, anche ricorrendo ad attacchi armati nei confronti di alcune città costiere (c.d. Guerre catabattiste del 331-332, durante le quali gli eretici, giunti via mare, a nuoto o su piccole zattere, attaccarono le città di Smirne, Rodi, Myra, Attalia e le isole di Coo e Patmos). Al riguardo la fonte principale è lo scrittore ecclesiastico Gregorio di Myra, che racconta alcuni particolari interessanti: a suo dire gli eretici avrebbero potuto assalire le città non visti grazie a battelli in grado di navigare sotto l’acqua, chiamati thibotói[6].

Ciò nonostante, le sorti dello scontro volsero presto a loro sfavore e infine gli abissali, fautori di tendenze apocalittiche, costrinsero gli ultimi aderenti al movimento a una sorta di suicidio di massa, nel 423, al largo di Rodi, nel tentativo di raggiungere l’oltremondo; erano infatti convinti, sotto l’influenza dell’astrologia caldea, egiziana e greca, che in un determinato periodo (per l’individuazione del quale era rilevante l’osservazione delle costellazioni dei Pesci e dell’Acquario) la Gerusalemme Celeste sarebbe scesa dalle «acque superiori» nel fondo del mare (al largo di Rodi, per l’appunto), dove tutti avrebbero potuto raggiungerla tuffandosi nelle acque[7].

Secondo le leggende popolari i superstiti della setta, lungi dall’annegare, si sarebbero ricongiunti con certe creature degli abissi che la popolazione identificava coi Telchini, primordiali abitanti di Rodi, esseri anfibi e parzialmente pisciformi che nel più remoto passato (secondo il racconto di Servio) abbandonarono l’isola dopo averla resa sterile grazie alle acque velenose dello Stige, attirando sopra di sé l’ira di Apollo: stante la primitiva connessione fra i Telchini e l’elemento liquido, era forse inevitabile che il fatto storico si innestasse sul mito, fino a determinare una totale identificazione fra gli eretici gettatisi nelle acque e le malevole creature sovrannaturali, ridottesi, dopo la commistione, al rango di spiriti rancorosi che infestavano le coste e le acque interne di Rodi.

Il ricordo dell’eresia scomparve rapidamente. Un cenno moderno si trova nelle Historiae animalium[8] di Conrad Gesner, che riferisce la cattura di un animale mezzo pesce e mezzo uomo avvenuta nel Mar Baltico nel 1531. Soprannominato “Pesce Vescovo” per il capo simile a una mitra, l’essere fu donato al re della Polonia, che lo mostrò a dei vescovi cattolici. Il mostro allora parlò «in una lingua simile al greco» chiedendo di essere liberato: accordatogli il favore, si fece il segno della croce e sparì nel mare. Meditando sulla singolare devozione della creatura, l’autore cita «quell’antica setta di asceti spentasi nel mare» che ebbe il nome di catabattista, e ipotizza che forse somigliava a un vescovo perché lo era.

Pesce Vescovo, dallo Specula physico-mathematico-historica notabilium ac mirabilium sciendorum di Johann Zahn, 1696, Augsburg.

Pesce Vescovo, dallo Specula physico-mathematico-historica notabilium ac mirabilium sciendorum di Johann Zahn, 1696, Augsburg.

 

Note

[1] Tertulliano trova parole efficaci sulle virtù generative e rigenerative dell’acqua (Sul battesimo, III-V). A questi giudizi possiamo accostare quelli di Giovanni Crisostomo, che nell’Omelia sul vangelo di Giovanni (XXV, 2) scrive: «quando immergiamo la testa nell’acqua come in un sepolcro, il vecchio uomo è sommerso e sepolto tutto intero; quando usciamo dall’acqua, l’uomo nuovo appare simultaneamente».

[2] Hydría vale in greco brocca, secchio, e non è escluso che alcuni catabattisti alludessero con questo nome alla funzione di contenitore del divino, delle acque superiori. Non sfuggì invece ai polemisti ortodossi la somiglianza col termine hýdra (serpente d’acqua, idra), che li indusse ad accusare i catabattisti di blasfemia per aver attribuito alla madre di Dio un’essenza mostruosa, per di più di un mostro pagano.

[3] Il principio spirituale acquatico (derivante, cioè, dallo hypér hýdor), chiamato Cristo, è disceso nell’uomo Gesù al momento del battesimo (secondo alcuni catabattisti) oppure subito dopo la concezione nel grembo della madre (secondo altri) e lo ha abbandonato sulla croce (secondo Matteo 27,46 e Giovanni 19,34). Ambrogio riporta che i catabattisti consideravano Maria soltanto madre di Gesù se non addirittura una metafora per indicare le acque creatrici, e sostiene che gli eretici basavano la loro teologia su un gioco di parole tra “mare” e “Maria”, gioco che però è valido solo in latino e non in greco, lingua degli eretici. Sempre secondo Ambrogio, i catabattisti rappresentavano la discesa dello Spirito su Maria come il matrimonio delle acque superiori con quelle inferiori nella forma di una pioggia che cade sul mare – e qui l’autore li accusa di confondere il Vangelo con la leggenda pagana di Zeus e Danae.

[4] In una lettera probabilmente apocrifa di Girolamo ad Agostino troviamo citato un brano da un testo perduto di Epifanio di Salamina, venuto forse in contatto con la setta nel 367, quando fu consacrato vescovo della diocesi cipriota. Nel brano, scritto circa un secolo e mezzo dopo Tertulliano, sono citati solo «mytili vel conchae» (mitili o conchiglie). Ciò confermerebbe quanto scrive intorno al 400 Teodoro di Mopsuestia, che chiama gli eretici borboritoi (del fango, fangosi) e parla di óstraka (conchiglie) utilizzate per comunicarsi. Tuttavia non è possibile sapere se la natura delle specie consacrate sia cambiata dai tempi di Tertulliano a quelli dei testimoni successivi.

[5] «Non voglio infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto». In questa reinterpretazione di episodi veterotestamentari i catabattisti trovavano delineata l’opera della salvezza: l’acqua superiore che discende dal cielo sotto forma di pioggia e va a fecondare l’acqua inferiore, che è anche l’acqua del mare (per questo Paolo parla di battesimo nella nuvola e nel mare). Anche la manna, cibo spirituale proveniente dal cielo, è da mettere in relazione allo hypér hýdor. Cristo-fonte è, infine, uno dei topoi catabattisti della figura del salvatore: è da lui e attraverso di lui che le acque superiori scaturiscono in terra.

[6] Un hapax collegato alla parola ebraica tevàh (contenitore, baule), termine col quale sono indicate nella Bibbia sia l’arca di Noè che la culla in cui Mosè fu abbandonato nell’acqua, e a quelle greche kibotós (cassa, ma anche l’arca di Noè) e thìbis (cesto, e in particolare quello in cui fu deposto Mosé). Cfr. Jacques Matter, Histoire critique du gnosticisme et de son influence sur les sectes religieuses et philosophiques des six premieres siècles de l’ère chrétienne, Strasbourg, 1843-1844, vol. 3, Première Appendice: La question des Catabaptistes. Gregorio aggiunge che i thibotói erano stati inventati da Giovanni Paflagonio e che avevano prima di tutto una funzione rituale, connessa alle cerimonie di immersione, in alla similitudine presente nella Prima lettera di Pietro 3,20-21 tra Noè chiuso nell’arca e salvato dal diluvio e il fedele liberato dai peccati col battesimo.

[7] Nel bacino di Rodi, a est dell’isola e al largo delle coste della Licia, si trovano le acque più profonde dell’intero Mediterraneo: viene da chiedersi se e come i catabattisti fossero a conoscenza di questo fatto (ignoto a chiunque nel V secolo).

[8] Zurigo, 1551-58.

 

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