di Anna Costanza Aglietti
* Il testo, inizialmente pubblicato sulla rivista “La frusta”, è stato rielaborato in seguito al ritrovamento di nuovo materiale autografo.
Devo la conoscenza della poesia giovanile di Elia Spallanzani al fortuito incontro con la nipote dello scrittore, durante un interminabile viaggio in treno fra Milano e Rimini. Dalle nostre conversazioni è scaturito il mio interesse per quella parte dell’opera meno nota, e certo meno indagata dalla critica, che risale all’epoca del liceo e dei primi anni universitari. La cortesia della signora Ombretta, cui rinnovo da queste pagine tutti i miei ringraziamenti, ha messo a mia disposizione per qualche giorno le carte giovanili dello scrittore, che saranno a breve ordinate ed edite dalla Fondazione omonima.
Prima che l’opus magnum dell’opera omnia veda la luce, dunque, mi sia consentito arrischiare qualche appunto preliminare sui componimenti che chiamerò di qui in avanti “liceali”, redatti in bella grafia in un quaderno dalla copertina nera e risalenti con ogni probabilità al biennio 1936-37. Tali componimenti non esauriscono certo la produzione giovanile, dispersa in gran quantità di appunti, lettere e quaderni in vario stato di conservazione; costituiscono però a mio parere un piccolo corpus organico degno di attenzione per chi voglia indagare le radici della mutevole e sfuggente personalità artistica spallanzaniana.
Fisicamente il quaderno misura 13,5 cm x 10 e conta 31 carte ben spesse, di cui 27 scritte sia sul recto che sul verso con inchiostro blu-violetto. La numerazione, apposta in epoca successiva con biro nera, procede da 1 a 32, quindi per fogli e non per pagine. Manca il foglio 11, per oltraggio del tempo o censura. Non c’è titolo e la prima pagina è riempita per metà da prove di firma, in cui il giovane autore si qualifica via via «Duca di Passogatto», «bucaniere», «amplissimo Rettore», «grammofonista», etc.; l’altra metà è invece occupata da un collage di carta patinata bianca, rossa e nera con figure di civetta sempre più piccole. Indagini effettuate con la lampada a transilluminazione hanno svelato che in origine sotto il collage c’erano disegni di civette intrecciate, piuttosto rozzi, il che fa pensare che sia stato lo stesso Spallanzani a coprirli, forse nello stesso periodo in cui aggiunse la numerazione. I fogli 29-31 sono bianchi, mentre l’ultimo, pure bianco, reca l’impronta appena visibile di un timbro a secco. Rovesciandolo è stato possibile ricostruire una sorta di sigillo dell’autore, mai ritrovato. Il motto che corre intorno al sigillo è in latino maccheronico e il suo significato è oscuro.
La sezione iniziale, formata da dieci testi, consta essenzialmente di brevi poesie a carattere idillico o introspettivo, per lo più prive di titolo. Elementi comuni fanno pensare a una composizione ravvicinata: citazioni classiche, prestiti da Catullo e Orazio, atmosfera leopardiana nel sentimento della natura e nella riflessione sulla sorte umana. Particolare attenzione deve essere prestata al lessico: alla luce di una prima analisi si può – e forse si deve – ipotizzare una conoscenza diretta da parte del giovane poeta dell’opera montaliana. Espressioni come «lo sbraco scabro» o «scroccanti rocce che scoscendono», rivelano un’adesione alla poetica degli Ossi di seppia.
Passando al contenuto del quaderno, in primo luogo è doveroso rilevare nei componimenti iniziali la labilità, per non dire la mancanza, del fattore “combinatorio” proprio delle opere più importanti e più note dell’autore (valga per tutte Trittico Circolare), così come della sottile vena autoironica indagata a suo tempo da Elio Fiore nell’illuminante articolo Riso e rose: ironia e poetica in Spallanzani e Penna[1]. È possibile però individuare all’interno delle “liceali” il primo affiorare di un tema che sarà centrale nell’opera successiva in versi e in prosa, ovvero l’elemento misterioso-enigmatico, presente soprattutto nei tredici componimenti della sezione centrale del quaderno.
Più interessante, in questa sede preliminare, la sezione centrale del quaderno, che come accennato si riavvicina più facilmente a motivi di gioco letterario che diverranno topici nello Spallanzani maggiore conoscitore di Quenau e dell’Oulipo. Si comincia con 21 miniabbecedari, o carmi alfabetici, in cui ogni parola inizia con una lettera progressiva dell’alfabeto. Le liriche sono pervase da un senso di sconforto, che non è chiaro se attribuire allo spleen adolescenziale o, come appare più probabile, a una precoce maniera. Ad esempio, si legga il numero 17:
«Soliti tormenti, un vuoto zigare, astio
borbottante, cordoglio domenicale… e faccio
grafismi: ho inutilmente lasciato misere note,
ortografiche poesie, querule, ridicole».
Seguono tredici brevissimi componimenti di tre o quattro versi ciascuno, in metro variabile, che figurano sotto il titolo complessivo di Enigmate (sic, non saprei se per svista o per scelta del giovane autore). Sarà opportuno riportare qualche esempio significativo per render ragione dell’estrema importanza di questa produzione, vera e propria anticamera letteraria di future realizzazioni.
Il terzo componimento, completo di titolo, che lascia ipotizzare un intento autobiografico:
«Io stesso, nella vita
Da familiari unioni
dura necessità sospinge l’uomo
nascosto su una nave che lo ignora».
E il settimo:
«La musa del mattino
Alta, forte, coronata di pietra,
opposta ad altre ed in continua lotta
da lei spira, eccitante, un profumo
di terre conquistate».
Si tratta, come è reso evidente dalla definizione generale Enigmate, per l’appunto di enigmi. Il loro significato recondito però è rimasto oscuro per molti anni, finché non ho ritrovato una minuta che, oltre al testo, riporta anche dei numeri. In particolare, a fianco del terzo componimento si legge appena “4-7-11”, ed a fianco del settimo “5-7-12”. Dopo aver escluso la possibilità che si trattasse di date o del numero delle sillabe, ho constatato che tutti i tredici componimenti condividono la forma di questi, che non è altro che quella tipica della sciarada. Questo tipo di indovinello, conosciuto fin dal rinascimento e popolare come passatempo familiare dal XVII al XIX secolo, viene ormai praticato solo dagli enigmisti e consiste nel ricavare da ogni verso una parola della lunghezza indicata: la terza parola è formata dalla concatenazione delle prime due, ma non deve presentare alcuna attinenza di significato con le parole componenti. Ad es., “chilo” non potrebbe essere il primo temine di una sciarada su “chilogrammo”.
Colpisce dunque la scelta del giovane Spallanzani, indicativa di una precoce ricerca di complessità e rarità letterarie. Inoltre le sue composizioni differiscono da quelle praticate nella tradizione, perché hanno l’ambizione di creare un componimento poetico compiuto in sé. Inutile certo per la maggior parte dei lettori, ma doveroso, riportare in questo luogo la chiave dei componimenti:
Da familiari unioni = clan
dura necessità sospinge l’uomo = destino
La soluzione naturalmente deriva dall’unione delle precedenti: nascosto su una nave che lo ignora = clandestino. E nel componimento sette:
Alta, forte, coronata di pietra = torre
opposta ad altre ed in continua lotta = fazione
da lei spira, eccitante, un profumo di terre conquistate = torrefazione
Si noti che non c’è affinità di significato tra “torre” e “torrefazione”, poiché quest’ultima deriva dal verbo “torrere” (far seccare) e non da “torre”, anche se le torrefazioni hanno camini molto alti che sembrano torri.
Vale la pena notare come l’autore aggiunga al gioco della sciarada un piccolo tocco in più, costituito dal titolo, che si riferisce ambiguamente sia alla poesia letta solo come tale, sia alla soluzione della sciarada. Nel terzo componimento, infatti, «Io stesso nella vita» è riferito sia alla poesia, che delinea una situazione di tipo ungarettiano, sia alla parola-soluzione “clandestino”. Anche in seguito, nelle lettere, Spallanzani si definirà spesso un «clandestino della vita» o un «passeggero senza biglietto», come riporta Mengaldo nei suoi Cenni sull’epistolario Calvino-Spallanzani[2]. Allo stesso modo, «La musa del mattino» è l’evanescente entità femminile evocata dai versi, ma anche ironicamente la torrefazione che si ottiene risolvendo la sciarada. Mi piace pensare che si tratti dell’ombrosa “Torrefazione Impero”, sita dal 1903 al 1989 accanto al liceo frequentato da Spallanzani, che forse qui prendeva il caffè prima di entrare a scuola. Ma finché un meritorio biografo non si farà carico di esplorare a fondo la sua vita, dettagli come questo sono destinati a rimanere nel campo della congettura.
Da notare che per questa sciarada è stata anche avanzata una diversa interpretazione. Nella rubrica della “Stampa” Lettere & Cifre il giocologo Ennio Peres ha ipotizzato che si tratti di un cambio di lettera 7-7. La soluzione del gioco si comporrebbe quindi di due parole di 7 lettere, che differiscono per una sola lettera: “colonna – colonia”.
Sia il primo che il secondo verso alluderebbero alla “colonna”, indicata prima come elemento architettonico verticale (alta, forte, coronata di pietra) e poi come formazione militare di attacco (opposta ad altre, ed in continua lotta); il terzo verso, infine, alluderebbe alla colonia, intesa come acqua di colonia (da lei spira, eccitante, un profumo etc), ma anche come territorio assoggettato militarmente e politicamente a un altro Stato (terre conquistate).
Posto di fronte alla soluzione originale della sciarada, Peres osservava che potrebbe anche trattarsi di un raro esempio di enigma analizzabile in due modi totalmente diversi (trascurando l’indicazione relativa alle lunghezze in lettere, o “diagramma numerico”). Insomma, un doppio livello di lettura, che in qualche modo richiama la tecnica del double coding che Spallanzani avrebbe messo in atto nelle sue opere mature quasi trent’anni dopo.
La terza parte del corpus preso in esame non ha titolo, ma ci si può coerentemente riferire alle poesie che la compongono col nome di “Imitazioni”. Si tratta infatti di nove componimenti in metro vario, la cui caratteristica più evidente è di imitare lo stile dei grandi della poesia italiana. Non mi soffermerò in particolare su questo gruppo di liriche, salvo fare presenti i nomi di Pascoli, D’annunzio, Leopardi e Dante. Un caso a parte è l’imitazione numero sei, intitolata Incanti, in cui il poeta si cimenta con la tradizione petrarchesca della sestina, reinterpretata in modo personale. Le parole-rima prescelte per questa rigorosa forma poetica testimoniano la portata di divertissement erudito di questa sezione. Valga come esempio la serie: canto – da canto – acanto – accanto – calicanto, fino a un imprevedibile Celacanto che compare in un ardito paragone di chiusura.
La quarta e ultima sezione comprende i cosiddetti “poemi quadri”, leggibili sia in orizzontale che in verticale:
Torna | di | nuovo | amore, |
di | chiaro | canto | avvolto |
nuovo | canto | ogni | di |
amore | avvolto | di | luce |
Nonostante alcuni trucchi ingegnosi (nell’esempio, l’uso del “di” prima come preposizione e poi nel senso di giorno, “dì”), questi piccoli componimenti appaiono forzati e puerili, come risulta dal confronto con il testo che probabilmente li ha ispirati, A Square Poem di Lewis Carrol:
I | often | wondered | when | I | cursed, |
Often | feared | where | I | would | be — |
Wondered | where | she’d | yield | her | love, |
When | I | yeld, | so | will | she. |
I | would | her | will | be | pitied! |
Cursed | be | love! | She | pitied | me… |
Non mancano però quadrati basati su vincoli diversi dal doppio senso di lettura, tra esoterici e telegrafici:
«Rima canaglia, banale orpello
elastica lingua, matematico hobby.
Impossibilitato figurarmi geometrie nuove,
disegno quadrati permutando ancora».
In questo caso Spallanzani segnala che convertendo le iniziali in numeri (A = 1, B = 2, etc.) si ottiene un quadrato magico di rinascimentale memoria, in cui la somma di righe orizzontali, verticali e diagonali è sempre uguale a 34:
R | C | B | O | 16 | 3 | 2 | 13 | |
E | L | M | H | 5 | 10 | 11 | 8 | |
I | F | G | N | 9 | 6 | 7 | 12 | |
D | Q | P | A | 4 | 15 | 14 | 1 |
Ma il giovane autore si spinse oltre, realizzando un quadrato magico di 5×5, con somma costante di 65, basato sull’alfabeto internazionale. Nel quaderno è indicata solo la struttura, con la nota «lascio questo scherzo sinistro ai solutori particolarmente abili»:
17 | 24 | 1 | 8 | 15 | Q | Y | A | H | O | |
23 | 5 | 7 | 14 | 16 | X | E | G | N | P | |
4 | 6 | 13 | 20 | 22 | D | F | M | T | V | |
10 | 12 | 19 | 21 | 3 | J | L | S | U | C | |
11 | 18 | 25 | 2 | 9 | K | R | Z | B | I |
Fino ad oggi i tentativi di dedurre il testo non hanno fornito risultati soddisfacenti. L’ipotesi più diffusa, per cui ringrazio il professor Leonetto Vincibile, è la seguente:
«Qumran Yakhad, almanaccando ho ottenuto:
“Xiaoping è Gesù, nuovo profeta”
Domani farò morire tre volte
Jesus, lo so un comunista
(Kaiafas, rabbino zelante, bene istruito)».
E si spiega: Qumran è il sito archeologico in cui sono stati ritrovati i rotoli del Mar Morto, che documenterebbero l’esistenza di una comunità (ebr. Yakhad) del primo secolo A.C. dalla dottrina sorprendentemente simile a quella cristiana. Il testo esprimerebbe quindi la giocosa ribellione del sedicenne Spallanzani di fronte a una società bigotta e fascista, camuffata in forma enigmatica per sfuggire alla censura di genitori e maestri. Personalmente, mi limito ad evidenziare che nel 1936 i rotoli non erano ancora stati scoperti e la spiegazione di Vincibile, per cui Spallanzani avrebbe previsto il ritrovamento, lascia sconcertati.
Il dotto studioso però ha elaborato un’ipotesi alternativa, che valorizza l’inciso «sinistro scherzo». Per sviluppare la poesia sarebbe prima necessario ruotare il quadrato di 90° gradi a sinistra, ottenendo:
O | P | V | C | I |
H | N | T | U | B |
A | G | M | S | Z |
Y | E | F | L | R |
Q | X | D | J | K |
Da cui:
«Ofelia, piccola viziosa, con indifferenza
hai nutrito tu una bizzarria:
Amleto giustizia miseramente suo zio!
Yorick ebbe forse la rivelazione:
quando xe Desdemona, Jago kristamenta».
A rinforzo di questa interpretazione, il Vincibile allega la strofetta «A(h), li fotte el malo aere!», che altrove Spallanzani ricava anagrammando i nomi di Amleto, Ofelia e Laerte, forse ispirato dal celebre palindromo shakespiriano di Arrigo Boito («Ebro è Otel, ma Amleto è orbe»).
In senso contrario militano però numerosi indizi, a partire dell’uso del dialetto veneto (“xe” per c’è, “kristamenta” nel senso di sacramentare), che costituirebbe un unicum nella produzione di Spallanzani e sembra appartenere più al vicentino e irriverente Leonetto che al nostro autore. Il punto, in definitiva, rimane dubbio.
Data la necessaria brevità di queste pagine, non mi dilungherò in altri esempi e in altre analisi. Basti per ora aver indicato un campo ricco di potenzialità a tutti gli studiosi interessati all’opera di Spallanzani, un campo denso di interesse soprattutto per chi si trovi ad indagare i rapporti fra letteratura, enigmistica, gioco ed inganno.
P.S.
Per completezza riporto le altre 11 sciarade. Le soluzioni sono in fondo, rovesciate.
- Saffo, frammento (5,5)
Egli mi sembra
un dio dal doppio aspetto:
delizia maturata nelle brume. - Creazione (2,8)
Un tempo era
il cielo notturno
da costruire soli. - Addio (2,5)
E parti dunque,
sempre al dovere avvinta
tu in cui riposi i miei più cari effetti! - Iniquità (3,4)
Prima del sire
fu consegnato
l’uomo d’arme. - La vita, il deserto (3,6)
No, non da solo!
Desidero adesso
una lenta carovana. - In tre (3,3,3)
Oh resta,
non mia, non sua
acqua che scorre inafferrabile
di una bellezza fredda e più che
umana. - Francescano, (in lingua del ’200 ) (2,6)
Egli agì
– non è proibito
in letizia perfetta. - Volume di fuoco (2, 1’8)
Eppure
il veder la luce dei miei libri
è un castigo divino. - Esilio (3,4)
Sopra il
povero covile
colei che fu regina delle indie. - Sia data giusta mercede al lavoro! (2, 4, 2)
Invoca
un dolce frutto
questo me che scrive
abituato a faticare lunghe ore. - Confessione (???)
Quel che mai non dissi
è ormai consunto!
Teatrante imbellettato, da commedia.
P.P.S.
Dopo la pubblicazione della prima stesura di questo articolo ho ricevuto una mail da tale Grifooz, che menzionava un racconto di Spallanzani intitolato Quiz: che strambo panda vi figliò?, in cui ogni frase, titolo incluso, è un pangramma, cioè contiene tutte le lettere dell’alfabeto.
Grifooz sosteneva che Bartezzaghi ne avrebbe parlato durante un’edizione di Gradara Ludens, spiegando che era stato scritto per una gara in cui alcuni autori dovevano produrre racconti gialli con costrizioni enigmistiche. Bartezzaghi stesso avrebbe composto un mesostico doyliano ed Ersilia Zamponi un tautogramma sul tema del maggiordomo assassino. Secondo Grifooz, ne resterebbe traccia in un «vecchio Linus, mi pare del 1994», ma nonostante le mie pressanti richieste di chiarimenti non ha mai voluto essere più preciso, limitandosi a spedirmi strofette oscure e bislacche, oltre che chiaramente apocrife.
Dopo lunghe indagini, non sono riuscita a trovare nessuna traccia né della gara, né del racconto spallanzanesco. Colgo quindi l’occasione per invitare chi sa a parlare.
Note
[1] Pubblicato nei quaderni del Pontificio Istituto Biblico, è ora raccolto nel Saggiatore immaginifico di A. Sibilla, ed. Valpurga, Rovigo, 1982.
[2] Pubblicato sul “Mattino di Padova” del 23/11/86, p. 18, con il titolo redazionale Quelle lettere così dure, crocevia di un’esistenza. Riguardo alle speculazioni sul presunto conflitto tra Calvino e Spallanzani, si legga Una polemica inesistente, di A. Giammanco, in Crimini del giornalismo, Bruxelles (ma in realtà Sciacca), 2012, ed. Colucci.
Soluttioni
1 Parmi / Giano
2 Fu / Stellato
4 Va / Ligia
5 Sol / Dato (sul pentagramma il sol precede
il si e il re)
6 Con / Voglio
8 Sta / Tua / Rio
9 Fe’ / Lice
10 Ma / L’Edizione
11 Sul / Tana
12 Oh / Pera / Io
13 ???
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