Col tempo abbiamo accumulato un sacco di pezzi del trenino ikea, metri e metri di binari, scambi, diversi ponti, le casette e i segnali, gli alberelli. Abbiamo anche un fottio di vagoni, la locomotiva che cammina da sola e un semaforo che cambia davvero colore (non ikea). C’è una stanza riservata al trenino, parquettata, col soffitto così alto che dentro ci si sente l’eco, anche perché a parte il trenino è vuota. E’ tutta roba presa così, senza un piano: periodicamente cambiamo il percorso e ogni volta ci manca qualche pezzo per chiudere, quindi compriamo un’altra confezione, che ovviamente non contiene solo il pezzo che ci serve ma anche altri, e quindi cambiamo un’altra volta il percorso per metterci anche quelli, ma ci manca un pezzo per chiudere, e così…
Messa a terra la ferrovia non fa grande impressione; avevamo pensato di comprare un grande tavolo, più o meno delle dimensioni della stanza, e di mettercela sopra, ma poi abbiamo pensato che tenendola a terra forse è più facile giocarci, e comunque un tavolo di quelle dimensioni costerebbe caro, a parte la difficoltà, anzi l’impossibilità di farlo passare per la ripida scala e poi le porte. Inoltre il tavolo implicherebbe anche la necessità di metterci una sorta di panno verde o qualcosa di simile, per simulare una sorta di prato, mentre finché sta a terra, sul mutevole parquetto, non avvertiamo questa esigenza.
La nostra ferrovia è ovviamente molto povera rispetto a quelle che si vedono nelle stanze degli eccentrici dei film. Non si tratta di una miniatura, non c’è rispetto della storia, mancano precise ricostruzioni di vagoni speciali del 1938 o delle tipiche casette svizzere, quelle dove gli infami accumulavano l’oro degli ebrei massacrati e oggi accumulano i soldi delle camorre. Non ci sono mini alberi fronzuti e squisite riproduzioni di mini mucche che muovono anche la coda, il treno non è neanche elettrico: nella locomotiva (dalla forma semplicissima) c’è solo una squallida pila.
La nostra ferrovia è un’astrazione di ferrovia, composta da un numero limitato di pezzi a loro volta composti da un numero molto limitato di piani e di incavi. Questo scheletro di ferrovia ci piace, o comunque a lui ci rassegniamo, esattamente perché così privo di dettagli, anzi l’unico difetto è che forse alcuni vagoni sono troppo colorati.
C’è stato un tempo in cui amavamo i dettagli, compravamo miniature di piombo e le dipingevamo anche, sebbene con scarsissimi risultati essendo daltonici, e costruivamo anche le casette munendole di imposte e di tegole, oppure gli alberi, che cercavamo di rendere più sfrangiati e naturali possibili. Andavamo alla ricerca di pietre che avessero l’aspetto di rocce, con una superficie tormentata che desse l’idea di una grande quantità di minuti dettagli e quindi di un oggetto enorme visto da lontano. Ma col tempo tutta questa apparente complessità ci ha stancato, e poi ci ha stomacato. Man mano che avevamo sempre meno soldi per costruire un mondo in miniatura per fortuna perdevamo anche la voglia di farlo.
Sicuramente avremmo avuto più possibilità di scrivere un romanzo vent’anni fa che adesso, e più di scrivere un racconto dieci anni fa che adesso. La misura del nostro sforzo si è ridotta sempre di più, le figure si sono semplificate, le trame ischeletrite, la quantità di vocaboli ridotta: dal racconto al paragrafo alla frase alla sentenza, tutto è diventato sempre più semplice e netto, e i pezzi hanno cominciato a somigliarsi finché non ci sono rimaste che sette-otto frasi che possiamo combinare a volontà e farci correre sopra la nostra squallida locomotiva a pila. “Squallido” curiosamente significa alla lettera “aspro, squamoso”, mentre noi avevamo sempre pensato che volesse dire “nudo”, e secondo noi dovrebbe voler dire “nudo”.
(ps. da qui)
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