Chi poteva prevederlo

La tragica storia del ti-99/4a potrebbe insegnare qualcosa, ma non frega a nessuno.

Il primo home computer a 16 bit fu prodotto dall’81 all’83, vendette più di 2 milioni e mezzo di pezzi e provocò alla Texas Instruments una perdita calcolata tra i 300 e i 600 milioni di dollari. Le cause del fallimento furono molte: il ti99 era caro e poco performante, i prezzi del settore scendevano vertiginosamente e il software disponibile era mediocre.

Il computer era nato male, pieno di buone intenzioni e con tendenze educative ma scarso sia come videogioco che come strumento di lavoro. La sua costosa cpu, tecnicamente molto avanzata, non era quella che doveva montare, e ce l’avevano messa perché non erano riusciti a sviluppate in tempo la versione adatta. Era a 16 bit, ma contornata da un’architettura a 8 bit, con pochissima memoria veloce (solo 256 byte) e con una sorta di macchina virtuale interna su cui girava un linguaggio proprietario della TI.

Il basic del ti99/4a era famigerato per la sua lentezza e la doveva al fatto che veniva interpretato due volte: prima nel linguaggio proprietario e poi da quello in assembly. Il risultato per l’utente era che un computer 16 bit a 3 mhz di clock era lento come un vic20 (8 bit, 1 mhz), che costava molto di meno.

La Texas Instruments reagì alla concorrenza, che stava diventando spietata, abbassando i prezzi addirittura sotto il costo di produzione, ma c’era un altro problema: siccome aveva rinunciato a guadagnare sull’hardware, pensava di rifarsi col software e cercava di essere l’unica a poterlo produrre. Teneva segrete molte caratteristiche avanzate del sistema, non accessibili dal basic, e quindi dopo un po’ le software house smisero di produrre o convertire giochi per il TI99.

Ancora più a monte, il problema era il pubblico: la Texas Instretc. pensava, o fingeva di pensare, che le famiglie avrebbero comprato il Ti99 per gestire le spese di casa, programmare diete e allenamenti, insegnare ai figli la matematica e lo spelling: ma famiglie del genere non ce n’erano, e probabilmente non ce ne sono mai state. I bambini volevano i videogiochi, i genitori al massimo un wordprocessor, ma col suo schermo di 32×24 il Ti99 come wordprocessor faceva cagare, e poi sarebbe servito almeno il costoso floppy per non impazzire con le cassette. Persino i joystick facevano cagare, avevano solo 4 direzioni ed erano di una forma strana e scomoda. Per quanto poi riguarda i numerosi software educativi, la gente probabilmente li odiava.

Errori nell’individuare il settore di mercato, errori nello sviluppo, errori sul software, ma la versione ufficiale della Texas Instruments è completamente diversa: secondo l’azienda andava tutto abbastanza bene, la concorrenza era terribile ma su questo non potevano farci nulla, il software era molto apprezzato, il progetto insomma era un successo finché non accadde la catastrofe: qualcuno prese la scossa con l’alimentatore del ti99. Allora l’azienda, che come tutte le aziende aveva a cuore solo il benessere del popolo, fermò tutto per risolvere il problema: ma le costò 50 milioni e due mesi di vendite ferme, da cui la tragica ma coraggiosa scelta di uscire dal mercato degli home computer.

Questa versione è particolarmente bella perché scarica tutta la colpa sulla bassa manovalanza: è vero che ci furono problemi con l’alimentatore, ma il ti99 stava affondando già da parecchio, tant’è che anche quando il problema fu risolto la gente continuò a non comprarlo se non a prezzo stracciato, addirittura a 49 dollari (il vic 20, nel suo assoluto squallore, costava di più). La storia dell’alimentatore però evitava sgradevoli considerazioni sul management della società e anche sulla sua élite ingegneristica: era un po’ come dire “non è che non sapevamo cosa stavamo facendo, o che abbiamo messo un costoso motore a 16 bit in un’ape car, o che non ci siamo resi conto che senza software a basso costo eravamo fottuti: no, è che l’alimentatore (per altro subappaltato) poteva in un caso su un milione dare la scossa, e allora ci siamo sacrificati per la vostra sicurezza”.

Non solo: l’azienda proclamava con orgoglio che avrebbe continuato a sostenere per quanto possibile gli acquirenti dell’ottimo ma sfortunato prodotto, mentre nella realtà quelli che l’avevano comprato a 49 dollari lo buttarono e quelli che invece l’avevano pagato 500 (tanto costava in origine) dovettero armarsi di schemi elettronici e saldatori per cercare di tenere in vita l’investimento e munirlo del minimo indispensabile per farci qualcosa.

Questa loro sorte di orfani ha prodotto, in alcuni casi, un attaccamento morboso al vecchio computer: ancora oggi, dopo 36 anni, ci sono appassionati che lo aggiornano, lo collegano a internet, ci infilano dentro chissà come schede di memoria da 3 mega e dischi rigidi, e addirittura producono giochi scritti in assembly e li mettono sulle cartucce di una volta. Per i nostri lettori, che non sanno programmare nemmeno la sveglia, forse non è facile immaginare il lavoro immenso che ci vuole. In questi giorni abbiamo visto dragon’s lair che gira su un ti99: incredibile, folle, eppure l’hanno fatto.

Certo cose del genere accadono anche con altri vecchi computer: sul c64 realizzano ancora cose strabilianti ma i fan del ti99/4a meritano molto di più perché non si sono attaccati a un successo, ma a un fallimento, e poi in quattro gatti e sfidando un’architettura anomala e complicata hanno insistito per più di trent’anni nella quasi totale oscurità.

A questi eroi del fallimento va tutta la nostra stima e anche un po’ di invidia: noi puccioppo il ti99/4a l’abbiamo perso durante un trasloco più o meno nel 1984, ma non l’abbiamo mai dimenticato: anzi, ci siamo sempre sentiti in colpa per non essere ammattiti appresso a lui.

P.S. Un eroe a caso, e non è il più accanito: https://www.nightfallcrew.com/tag/ti-994a/?lang=it

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