Qualcosa per i lettori di libri brutti

Anche quest’anno la Fondazione non ha ricevuto nessun regalo, ma forse è meglio vista la roba che ci regalano di solito, e cioè libri brutti.

Qualche anno fa li sollecitammo perfino e ce ne arriviarono una quarantina: abbastanza da farci togliere il vizio. Un terzo era proprio merda (Ammaniti, Baricco, De Luca, De Carlo, Mazzantini, Fromm, Nove, Fabri Fibra, etc), mentre altri sembravano promettere qualcosa di buono (es. Agarttha, per la rilegatura, o Alcione, che non avremmo mai comprato di nostra iniziativa). Due o tre li avevamo già, altri due o tre erano più interessanti per le numerose sottolineature che per il contenuto (si trattava, non a caso, dei libri più da mentecatti). Economicamente parlando, il valore totale alla borsa della bancarella si aggirava, per tutti e quaranta i libri, tra i cinque e i dieci euro, più o meno un euro al chilo. Altrimenti si potevano sempre usare per accendere il fuoco. Il bello è che ci sentimmo anche in dovere di ringraziare per ciò che pure un accattone avrebbe sdegnato.

Ad ogni modo, di quei quaranta libri ne leggemmo forse 4 e, essendo persone infelici, perdemmo anche tempo a dirne qualcosa. Raccogliamo qui le modestissime note.

Oceanic, di Greg Egan.
Ciò che stupisce e commuove di questi forestieri è il fatto che negli anni ’90 potessero ancora scrivere un racconto di fantascienza sul senso della fede, racconto che ha vinto anche il premio Oogo. Certamente solo l’ignoranza delle materie umanistiche degli anglosassoni può spiegare una mossa così puerile e insieme però piacevolmente seria. In effetti la serietà dei tecnici e la loro quasi totale assenza di finezza è uno dei motivi per cui li abbiamo sempre preferiti ai nostri colleghi umanisti, che credono di aver raggiunto l’abisso mentre di norma sono arrivati solo nel mondo dei pagliacci. Il racconto, comunque, presenta qualche elemento di interesse anche per chi considera il mistero roba da pervenuti: un po’ di grottesco, un po’ di volgare c’è, per gli umanisti, ad esempio nei curiosi rapporti sessuali dei personaggi. Il voto generale sarebbe mediocre, ma la brevità gli permette di arrivare alla sufficienza.

Maghi e magia, a cura di P. Haining. Edizioni Mediterranee, 1977 (qui un estratto).
Il libro, una classica edizione miserabile che si sfascia mentre lo sfogli, contiene racconti di autori che hanno avuto contatti con l’occultismo (dagli impallinati totali come Lévi, Crowley, Blavatsky, ai più normali Yeats, Doyle, Rhomer, Blackwood e altri), sul curioso presupposto che costoro proprio nei racconti dichiaratamente fantastici avrebbero svelato i segreti della magia veramente vera. Ovviamente leggendoli l’impressione è opposta, e cioè che i loro giochetti occulti fossero solo una prosecuzione dei loro giochetti letterari. Viene poi da chiedersi se anche tra gli attuali circoletti di scrittori di genere ci siano legami con qualche forma di magia, e probabilmente è così, anche se sarà una sorta di tecno-magia pop.

Agarttha e la sfida dei 5, di Max Bartoli, edizione Giunti-Nardini.
Storiella puerile e imbarazzante simile a un vecchio cartone animato giapponese tipo i cavalieri dello zodiaco, la sua unica particolarità è la presentazione di Alberto Bevilacqua. Francamente non si capisce cosa possa aver indotto l’Alberto a scrivere quelle due paginette che culminano in un “Bartoli, un negromante che scrive per virtù d’incantesimo”. Considerata la nullità dell’opera, anche con tutte le scusanti per la giovane età dell’autore, si deve per forza concludere che Bevilacqua fosse impazzito o dovesse farsi perdonare qualcosa di grosso. Di sicuro dietro questo libraccio e il suo autore dev’esserci una storia curiosa, che puccioppo non conosceremo mai. P.S. Ottima la rilegatura.

La fata dai piedi di mula: licantropi, streghe e vampiri nell’Oriente greco
Sicuramente il migliore del mazzo, è essenzialmente una raccolta di nozioni periferiche. Vista la sua natura è difficile riassumerlo e quindi ci limitiamo ad annotare per nessuno poche cose:

-nel “Timoteo”, attribuito a Psello, i demoni di fuoco sono chiamati “Leliuria” e si dice si affollino nelle altezze celesti. Vorrebbero spingersi fino all’orbita della luna, ma pare che per loro sia un limite invalicabile. Nel “Testamento di Salomone” si spiega che i demoni cercano così di origliare le conversazioni degli angeli e di carpire in itinere e decreti divini, ma non riuscendo a resistere da quelle altitudini precipitano avvampando. Similmente nel Corano si racconta che gli angeli tirano pietre infuocate ai demoni che cercano di spiarli;

-in un testo siriaco del v secolo d.c. (ma l’origine e la datazione sono incerte) i santi fratelli Sisinnio e Sisinodoro danno la caccia a Gello, il demone femminile che uccide i neonati. Trovatolo, inizia una battaglia di trasformazioni magiche in cui il lettore riconoscerà uno degli esempi più antichi di un modello che arriverà fino a Merlino contro Maga Magò;

-quando eravamo giovinetti in certi paesi dei dintorni era ancora diffusa la convinzione che i nati il giorno di Natale fossero licantropi. Ora, Leone Allacci (17simo secolo) trasmette che a Chio i nati tra Natale e Capodanno erano condannati ogni anno, in quello stesso periodo, a girare furiosi aggredendo i viandanti e graffiandogli il viso, per poi salirgli addosso e proporre una sorta di enigma. Chiamati “callicanzari”, questi esseri vengono descritti in maniera ambigua: a volte sono uomini, altre demoni, a volte sono atroci, altre pagliacceschi, e questo fa pensare che il mito si sia intrecciato col divieto religioso delle Calende, carnevale pagano che si svolgeva appunto tra Natale e l’Epifania. Il tutto a sua volta si sovrappone al mito del babutzicario, anche lui nato nel periodo di Natale, che a volte viene identificato con l’incubo e altre col licantropo. Nella raccolta di rimedi magici e talismani nota come Ciranidi e risalente al quarto secolo d.c. si indica il rimedio sovrano per la licantropia-babutzicaria, che consiste nel mangiare a digiuno un cuore di coccodrillo. Quindi la storia che ancora noi abbiamo sentito raccontare come fatto reale è giunta in questi paeselli almeno da sedici secoli e mille chilometri di distanza.

P.S.

Riguardo alla faccenda dei mannari ci scrive subito un lettore di vecchia data, il prof. Esacrando Natale:

“Egregia Fondazione,
la leggenda che chi nasce il 25 dicembre è mannaro è diffusa in tutta Italia, non solo nel vostro paesino del cazzo, dove comunque vi ritirerete a fare la calzetta. Con la precisazione però che bisogna nascere a mezzanotte, come capitò appunto a me. E la sorte, infierendo, volle che i miei sconsiderati fattori mi battezzassero anche “Natale”, così da poter sbrigare con un solo regalo le feste, il compleanno e l’onomastico. La mia infanzia è stata un incubo tortuoso, ma appena raggiunta l’età della ragione ho presentato la pratica per cambiare nome, e dopo dodici anni il Governo mi ha permesso di scambiarlo col cognome. Da ciò l’amarezza e il senso di ineluttabile rovina che mi pone nella cerchia dei vostri lettori”.

Egregio Esacrando,
non vorremo girare il coltello nella piaga ma San Natale esiste.

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