Nell’orgia di dolciumi del periodo ci viene un dubbio: perché, per dire “fare una figuraccia”, si dice “fare la figura del cioccolataio”?
Oggi il cioccolataio è un uomo ricco, stimato, ammirato. Concupito. Le signore se lo immaginano nudo mentre impasta la grassa matassa scura con la sapienza del provetto cioccolatiere. Come se ci volesse una laurea, per impastare tre ingredienti. Come se non lo facessero le macchine secondo ricette pressoché standard. Mentre se tu, per dire, ti interessi di vecchi programmi scritti in assembly, che sono più o meno l’equivalente di un meccanismo d’orologio con centomila infinitesimali rotelle, allora sei un coglione. Il cioccolataio invece è un luminare, una colonna della società. I suoi giudizi sulle materie d’importanza e d’opinione sono cassazione. Eppure si dice “fare la figura del cioccolataio”, quindi anche se non si sa perché resta il fatto che il linguaggio conserva le tracce di un’età più signorile, quando la gente che impastava e mescolava era ancora tenuta nella giusta considerazione.
Ma indagando la storia del cioccolataio si rivela più istruttiva del previsto. Pare infatti (è leggenda) che il detto “fare la figura del etc” nasca da un grave fatto di cronaca: un nobile torinese, indispettito perché un ricco cioccolataio si era fatto la carrozza più fastosa di quelle della nobiltà, decise di impennacchiare ulteriormente e arricchire smodatamente la sua per non fare, appunto, la figura del cioccolataio.
Tutta la carica di odio e disprezzo è chiusa in quella parola, cioccolataio, che dobbiamo immaginare pronunciata da labbra storte come se avessero succhiato, e meglio ancora sutto, il più amaro fondente dell’universo.
Il nobile capì che i borghesi ormai gli rodevano il calcagno, ma non capì invece la cosa più importante, e cioè che accettare la competizione economica significava perdere. In passato lo splendore dell’addobbo dipendeva dalla posizione gerarchica più che dalla ricchezza e questo era un modo, forse in realtà l’unico modo, di limitare lo sfruttamento del mondo lasciando però la possibilità di competere per dei traguardi immateriali: in pratica se volevi mostrare lecitamente una carrozza ricca come quella di un duca dovevi diventare duca, non bastava potertela permettere. E questo sistema di limiti era diffusissimo, tanto che esistevano i magistrati alle pompe che vigilavano sulla corrispondenza tra status sociale e ricchezza esibita, colpendo chi faceva lo sbruffone solo grazie ai soldi e così comprometteva tutta la struttura sociale (al lato opposto c’era il decoro, il non poter spendere e mostrare meno di quanto la propria classe mediamente mostrasse).
Il cioccolataio e gli altri borghesi arricchiti quindi attirarono i nobili in una gara di pompe e quelli incautamente accettarono la sfida, mentre avrebbero semplicemente dovuto punire gli sfrontati come si faceva in passato. Costretti a spendere sempre di più, diventarono ancora più odiosi e fu facile mettergli contro il poppolo.
La lezione insegna che l’unico modo di porre un limite allo sfruttamento delle risorse è creare una gerarchia immateriale che si fa rispettare con la violenza, fisica o psicologica: qualsiasi cedimento significa alimentare la competizione materiale, che a sua volta significa consumare sempre più risorse, finché si arriva alla distruzione dell’ambiente e alla guerra aperta*. Per evitarlo, una società deve condurre una sistematica piccola guerra a chi esce dal sentiero, e in pratica è quello che già inconsciamente fanno parecchi individui: ti dicono ad esempio che non puoi avere un gatto perché è dannoso per l’ambiente, mentre ovviamente loro il gatto possono averlo perché sanno come trattarlo mentre tu non ci riuscirai mai perché non hai la loro sensibilità.
Notate: se dicessero che loro possono tenere il gatto perché hanno i mezzi per riparare al danno, il problema non sarebbe risolto: gli altri vorrebbero procurarsi quei mezzi e la competizione ricomincerebbe ad assorbire risorse. Se invece dicessero che il metodo giusto si può insegnare, ugualmente si riproporrebbe il problema: quel che si può insegnare ha semplicemente un costo, gli altri vorrebbero imparare e quindi spendere e quindi competere per le risorse etc. Invece questi saggi devono dire che il metodo non dipende dalla ricchezza e non si può nemmeno insegnare! No! È qualcosa come il sangue, una cosa che hai o non hai e chi ce l’ha deve impedire agli altri di avere un gatto con gli inganni ed i ricatti morali, o con la forza se necessario.
Questo limite, che ai gattari potrà sembrare atroce, è invece l’unico modo per evitare che l’abbondanza di gatti faccia sparire ogni altra forma di vita e quindi in realtà è un bene, persino quando richiede la forza. Ecco: quello che manca è un criterio riconosciuto di differenziazione immateriale basato sulla violenza (anche solo nella forma ipocrita della tortura psicologica). Inventarlo e difenderlo è l’unica speranza che resta al mondo.
Il corollario è che qualsiasi sistema asseritamente razionale di riduzione dello sfruttamento diventa SEMPRE una gerarchia immateriale basata sulla violenza fisica o psicologica. Sempre. Perché la competizione non si può eliminare dal dna, solo spostare da un piano all’altro.
P.S. Quando una mente (es. la nostra) è in occulto contatto con la verità veramente vera succede che alla fine tutto si tiene. Che cos’è che si nasconde in fondo al cervello di Winston Smith, il protagonista di 1984? La tavoletta di cioccolato. Quella che rubò alla madre e alla sorellina affamata. Di nuovo il cioccolato, e con esso il cioccolataio.
La nostra è l’era del cioccolataio avvenente, dell’egoismo spudoratamente glorificato e di una competizione che si potrebbe chiamare sadiana per quanto è meschina e basata solo sul numero e sulla ricombinazione di elementi comuni. Di contro c’è il mondo di 1984, col suo totale disprezzo per la carne, la sua natura eminentemente spirituale, tutta volontà, pura volontà. Winston ricorda il sapore della cioccolata che attivava i suoi primitivi circuiti del piacere (è la carne di dio, la carne del mondo) e faceva di lui il peggiore dei traditori: traditore della madre, della sorellina morente: era meglio questo o non averla affatto? Ma per non averla serviva qualche altra carne divina da mangiare e quale esempio migliore della propria? La straordinaria e forse inesauribile grandezza di 1984 sta nel fatto che è un’utopia, non una distopia, e anzi rende chiaro quel che diceva Spallanzani, e cioè che ogni distopia è solo un’utopia vista da qualcuno che le si oppone. Per più preciso dire una vera utopia è solo quella che se esistesse si reggerebbe per sempre: non è solo questione di un luogo altro, ma di un diverso tipo di tempo, un tempo fermo che non può più cambiare e quindi forse sarebbe meglio chiamarla acronia.
P.P.S. Notare invece quanto è infame la storia di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato: il mostruoso Willy tenta i bambini e li punisce perché sono ingordi, egoisti e sfrenati, ma quei bambini in effetti li ha creati lui col suo sporco cioccolato! Alla fine seleziona l’unico bambino buono, che è tale proprio per la sua rinuncia ai piaceri (e cioè l’opposto del consumatore di cioccolato) e poi che fa? Gli regala la fabbrica! Cioè fa di lui UN CORRUTTORE. Oh, vergogna. Oh onta! L’unico modo per salvare questa favola schifosa è immaginare un finale alternativo in cui Charlie, dopo aver letto le palore della Fondazione, capisce il tranello e chiude per sempre la fabbrica.
P.P.P.S. Notare anche l’orribile inganno del succhia succhia che non si esaurisce mai, il mendace sogno scientista delle risorse infinite.
* Il bello invece è che gli stati continuano ad affidarsi ad economisti eredi del tizio che disse “per risolvere i problemi bisogna dare a più gente possibile la facoltà di consumare il più possibile”, cioè la ricetta del suicidio dell’umanità.
Probabilmente lui lo sapeva. Quando gli chiesero “ma nel lungo periodo…” e lui rispose “nel lungo periodo saremo tutti morti”, non stava facendo una battuta. La frase andava presa alla lettera: distribuire più soldi per far consumare di più alla lunga finirà per ucciderci tutti.
Il comunismo, invece, con la sua inefficienza aveva anche un fortissimo aspetto conservatore, sia in senso politico che ecologico, che estetico, che morale. Un mondo comunista sarebbe stato povero, inefficiente e corrotto, ma proprio per questo sarebbe durato più del nostro.
Lo stesso capitalismo novecentesco sarebbe andato incontro alle crisi previste e la loro soluzione sarebbe stata la guerra, il che avrebbe di nuovo allontanato per qualche tempo la crisi definitiva.
Invece è proprio la maggiore distribuzione di una parte della ricchezza che ha consentito non solo l’enorme aumento della popolazione, ma ha anche formato individui che consumano sempre di più.
E’ proprio la distribuzione, non la concentrazione delle ricchezze che porta all’ipersfruttamento delle risorse e senza possibilità di tornare indietro, perché mille grandi capitalisti puoi sempre fucilarli, mentre non puoi fucilare tre miliardi di persone.
P.S. Da qui.
conosco alcune gentili signorine che vincerebbero la *coff coff* gara di pompe *coff coff* contro qualsiasi cioccolataio e pure letteralmente a mani basse, e in effetti sono di sangue nobile
Presentagele
purtroppo costano caro, non so se col vostro stipendio potete permettervele…
https://www.tag24.it/482312-atti-osceni-in-luogo-pubblico-multa-la-proposta-di-legge-di-fratelli-d-italia/