Col culo della propria salma sono tutti fr*ci

Alla radio sentiamo sempre più spesso inviti delle associazioni benefiche a far loro un lascito testamentario. L’unicef, i medici sfrontierati, la lega del filo d’oro, tutti premono con delicata insistenza per essere ricordati nelle nostre ultime volontà, quelle che i mericani con termine involontariamente azzeccato chiamano “la volontà vivente”.

Certo noi siamo troppo civili ed educati per abbassarci a un’apotropaica grattata di palle, però ci viene in mente una versione di latino svolta tantissimi anni fa, che parlando di non sappiamo più che letterato dell’epoca della decadenza, forse Seneca, lo accusava d’essere un cacciatore di eredità: si attaccava alla gente afflitta e la consolava spiegando che la morte non è nulla, tranne forse una liberazione, e in cambio di questo bel balsamo filosofico chiedeva solo qualche legato, se non proprio l’istituzione in universum.

Ma il pensiero secondo è che evidentemente questi benefattori del genere umano hanno perso la speranza di avere i soldi cacati subito. Hanno capito che la gente soldi in vita non ne scuce più, casomai domani uscisse un altro modello di cellulare e le urgesse il liquido. La beneficenza si farà domani, a bocce ferme, a membra fredde, c’è sempre tempo per farla e sarà fatta, state sereni, scrivere che si lascia non significa poi lasciare, bisognerà pur sempre vedere se resta qualcosa ma nel frattempo è bello lasciare così, a parole, mettere nero su bianco una generosità che non costa nulla.

Perché queste pubblicità insegnano anche al popolo che per legarsi fin da morti non serve mica il costoso e sciacallesco notaro, basta la scrittura: senza nominare la parola “olografo”, fascinosa ma intimidente, le pubblicità spiegano che basta scrivere di proprio pugno, firmare e datare e così è fatto, la coscienza è scaricata, il bene programmato, il dovere morale assolto. L’idea è così allettante che davvero a volte pensiamo di farlo, scrivere da par nostri un testamento con tutti i frongioli, con l’ironico e superfluo “sano di corpo e di mente”, lo scaramantico “solo in considerazione della fragilità della vita umana”, le pie invocazioni ai santi e alle madonne, i ricatti morali a chi resta (“questa è la mia volontà e confido che vorrete eseguirla alla lettera”), le fulminanti clausole di diseredazione (di fatto nulle, ma tanto sarai morto e allora levati lo sfizo di ingiuriare e maledire) e infine il lascito ai povari e ai bubbolati, ai carcerati, agli spitalizzati, quasi caparra sulla vita eterna.

Già. Già. La volontà vivente, estesa e ciarliera, per i prossimi. Ma quali prossimi? Se tutto va bene i prossimi nostri saranno i cinesi. Non sapranno neanche leggere il nostro prezioso italiano, penseranno che quegli scarabocchi siano una baulla, una fattura, un preventivo o qualche altro documento commerciale, di quelli che sono tanto abili a nascondere alla finanza, a rigirare in qualche triangolazione con la banca di Ceylon, quando non pervengono addirittura a pulircisi il culo. E allora si fottano anche i prossimi, niente per noi e niente per nessuno, il piano è consumare tutto e la paura solo di crepare prima e la contromisura e consolazione semmai mettere una bomba, che si porti il resto con noi, in particolare tutti i nostri libri, le vecchie carte, le parole magnifiche qui atrocemente sprecate con la gentaglia, le rarissime foto e di tutto farne un solo fuoco e raccolta la cenere, bruciare anche quella: ciò che resta è l’essenziale.

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