La verità è che la gente in media è ancora più ignorante di quanto sembra qui. In rete è costretta almeno a cercare di esprimersi in maniera intellegibile, ma dal vivo è libera di emettere tutti i segnali fisici cui è abituata (urla, gestacci, rutti, sbuffi, orrendi sghignazzi).
Ci torna in mente un’estate di quando eravamo giovanotti. Andammo al bar per suggere un ghiacciuolo e vedemmo un capannello di ragazzi che discutevano animatamente, sul punto di picchiarsi. La questione nasceva da una partita di pallone (ma si giocava a pallone d’estate? Mah) durante la quale un noto attaccante (non ci chiedete chi) era stato atterrato solo davanti alla porta con un’entrata pericolosa, che oggi verrebbe considerata reato penale. La botta era stata così forte, aveva detto il radiocronista, da spaccargli in due il parastinco. La rabbia dei tifosi quindi era enorme e uno, lo chiameremo Emilio, sosteneva che il fallo fosse intenzionale e parte di una vasta cospirazione. “Ma voi avete capito?”, sbraitava Emilio. “Gli ha rotto il parastinco! Fosse stato lo stinco era cosa da niente, ma il parastinco! Sono cose che stroncano una carriera!”.
Naturalmente non disse proprio così, Emilio parlava solo in dialetto, ma il contenuto era questo. La menzione dal parastinco aveva trasformato tutti i ragazzetti tifosi in luminari dell’ortopedia e ognuno aveva la sua tesi e il suo rimedio, la sua ricetta per una rapida riabilitazione post rottura del parastinco. E stavano per picchiarsi non perché tifosi di squadre diverse, ma unicamente per divergenze scientifiche sul miglior trattamento delle fratture di parastinco. Quando provammo a dire che il parastinco, in effetti, non è un osso, il solo fatto che parlassimo italiano ci classificò subito come poeti e scienziati (non c’è tra il popolo espressione che contenga più disprezzo di “è arrivato lo scienziato!”), e poco mancò che le due fazioni si coalizzassero per picchiare noi.
Da allora, in Italia lo stile e il livello della discussione pubblica sono rimasti immutati.