Quando eravamo al liceo pensavamo spesso a tutti quegli antichi celebri scrittori del cazzo di cui non ci è pervenuta l’opera. Di alcuni si conoscevano frammenti, di altri solo qualche giudizio dei contemporanei, e ciò enormemente sollecitava la fantasia. Ad esempio, molto più del raccomandatissimo e in fondo vile Virgilio ci attirava un suo conoscente, quel Gaio Asinio Pollione che sin da subito, con la nobile mancanza di originalità della gioventù, avevamo ribattezzato Asinio Collione. Gravi e inquieti, ci chiedevamo sempre “ma che fine hanno fatto i libri del Collione?”, oppure “ma su questo punto che avrebbe avuto da dire Asinio? Il Gaio Collione?”, e giù a ridere come dei mentecatti, a a a! Ma a tutto forse pone mente l’Arbitro e infatti poi la vita (faccione di puttana) ci ha donato un altro grande autore scomparso di cui rintracciare (nella desolata biblioteca degli astri) le apparentemente secche rimanenze, che bagnate di lagrime ed esposte al lume della critica hanno qui (come la rosa di Turi) copiosamente ributtato.
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