La scrittura infinita

Abbiamo letto “Menzogne Spa”, che è la versione estesa di “Utopia andata e ritorno”, un breve romanzo o racconto lungo di P. K. Dick del 1966. La storia editoriale è piuttosto complicata e il libro era già stato pubblicato in passato con delle lacune e poi ancora con brevi inserti di un altro scrittore, perché Dick aveva perso alcune pagine dell’aggiunta, che poi a quanto pare sono state ritrovate. Comunque, la parte aggiunta è ancora più delirante del resto è rende più evidente il legame con un racconto del 1967 intitolato “La fede dei nostri padri”, che invece è eccezionale.

Ancora una volta si nota che i rimugini di Dick sul reale si spandono in più romanzi e racconti nell’arco di diversi anni, anche per via di un ritmo di pubblicazione furioso. Le idee contenute nei racconti vengono mischiate e variate per comporre testi più lunghi che a loro volta diventano elementi di sfondo di altri racconti e così via, in una rielaborazione che sembra quasi un vizio, una mania, il seme della grafomania che poi produrrà l’esegesi, l’impubblicabile malloppo di diecimila pagine di cui la versione stampata costituisce solo un estratto. È chiaro che in un certo senso l’opera di Dick è stata resa intellegibile solo dalla sua necessità pratica di pubblicare e vendere e quindi di dover “chiudere” in qualche modo delle porzioni di una riflessione che si attorcigliava su se stessa senza fine.

Tra parentesi, nella versione “lunga” di questo romanzo c’è anche una strana macchina che viene chiaramente da un altro romanzo di Dick del ’64, “Noi marziani” (molto bello e umano, ma non particolarmente noto): si tratta della camera che rallenta/velocizza le comunicazioni e che doveva servire, in “Noi marziani”, a comunicare con Manfred, il bambino autistico, mentre in “Menzogne Spa” viene fuori così, all’improvviso, con dentro un folle-geniale scienziato che non si capisce bene cosa c’entri col resto della storia. Ma, come detto, i punti di contatto tra i vari racconti e romanzi sono così tanti e attorcigliati che volendo ci si potrebbe scrivere una nota lunga come l’esegesi, e altrettanto illeggibile.

P.S.

Parlando di edizioni estese, abbiamo letto anche “Frozen Hell”, la prima e più lunga versione del racconto di Campbell da cui è stato tratto “La cosa”. Non è affatto male, anche considerando che l’ha scritto un ventenne negli anni 30, ma il problema è che se uno ha visto prima il film (e chi non l’ha visto?) lo troverà sicuramente inferiore. Pare inoltre che la versione tagliata, l’unica nota fino a pochi anni fa, sia considerata comunque migliore di questa prima stesura, proprio perché più breve e concentrata.

È curioso notare che il film “la cosa” aggiunge al racconto pubblicato proprio ciò che era stato tagliato e riassunto rispetto alla prima versione, e cioè il ritrovamento dell’alieno: solo che nel film a trovarlo è stata un’altra spedizione e la storia si è già verificata una volta. Un metodo comune (sulla pista di precedente spedizione disastrosa), che si trova in molti racconti e che nel film è particolarmente efficace sia nel fornire informazioni che altrimenti sarebbe goffo far emergere, sia nel creare da subito un senso di minaccia e di ineluttabilità. 

Rispetto al film il racconto ha in più un elemento interessante, e cioè un primo metodo per scoprire l’alieno, che però si rivelerà ingannevole. Questo snodo viene risolto in pochissimo spazio, un paio di pagine in cui si passa dal sollievo all’angoscia, ma il tempo dell’azione è molto più lungo (alcuni giorni) e si comprende che sarebbe stato difficile inserirlo nel ritmo del film. 

Per altro, Campbell aveva già usato l’idea dell’alieno mutaforma in un altro racconto, di tono però umoristico, e in seguito questa idea sarà portata alle estreme conseguenze proprio da Philip Dick nel racconto “Colonia”: qui (spoiler) gli alieni non duplicano gli esseri viventi ma gli oggetti. Dick era consapevole che ciò costituiva un altro passo verso la totale paranoia: pensare che tra noi ci sia un imitatore è ancora meno folle che pensare che il tuo microscopio vuole ucciderti, e in generale che tutta la realtà non è quello che sembra.

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