Anonima risorti: io sono vivo e voi siete morti

Nel vangelo gnostico detto “di Filippo”, considerato di tendenza valentiniana, c’è una curiosa idea della morte che attraversa i vari capitoli: si ripete più volte che molti non possono morire semplicemente perché non sono vivi, e che è sbagliato pensare che la resurrezione venga dopo la morte: prima di morire bisogna essere vivi e quindi la resurrezione deve venire prima della morte, non dopo.

Anche Clemente di Alessandria (cui abbiamo già accennato qui) dice negli Stromata che alcuni sedicenti gnostici sostenevano di essere già risorti e quindi sciolti dalle leggi del mondo: e alcuni giustificavano così la loro smodata lussuria, e altri invece la loro smodata astinenza*.

Comunque su questa “resurrezione preventiva” gli interpreti moderni di fatto non sanno niente, ma suppongono che consistesse in qualche tipo di rito, in una resurrezione “spirituale” attraverso il battesimo o una scenetta che mimava il miracolo: un uomo veniva chiuso nella tomba per 3 giorni (forse dal tramonto del primo all’alba del terzo giorno, quindi per una quarantina di ore) e poi veniva tirato fuori, e a quel punto era “veramente vivo”. Procedura che ricorda le truffe di certi fachiri, di certi gimnosofisti e di altri disutili.

Forse questo spiega come mai nel vangelo secondo Giovanni, l’unico che riporta l’episodio, si insiste molto sul fatto che Lazzaro è morto nel senso letterale del termine**. È talmente morto che “manda già odore, perché è di 4 giorni”. Non poteva (non doveva) esserci dubbio che si trattasse di un malore o di morte apparente, come si poteva sospettare per l’altro episodio di “resurrezione” presente nei sinottici, quello della figlia di Giairo.

Il racconto attribuito a Giovanni, che è relativamente lungo e dettagliato e impressionante, descrive anche Cristo che piange l’amico. Ma perché, se sta per ridargli la vita? Si dirà “è la sua parte umana che piange”, ma a noi questo dio con due volti sembra poco sublime. Noi pensiamo che lo fa tutto intero, uomo e dio, perché sa che nemmeno la resurrezione cancella la morte.

La frattura c’è stata e neanche Dio può far sì che non sia. Nel nucleo del risorto resterà eternamente il dolore di quella morte, anzi forse sarà la sua caratteristica principale, l’unica che ancora lo distingua dalla divinità. Nell’oceano delle perfezioni sarà tutta la memoria di se, e perciò lui l’amerà. In questo senso la morte non avrà più dominio.

*Incidentalmente, è una vergogna che le opere di Clemente non si trovino in rete tradotte in italiano. Ce n’è una versione in inglese ma il terzo libro, siccome contenente oscenità, i mericani l’hanno messo solo nella traduzione latina, così da non diffondere scostumatezze. E noi che in teoria siamo il paese dei preti non abbiamo una traduzione gratuita del cazzo a disposizione delle masse. Poi dice che c’è l’ignoranza.

**Ancora più incidentalmente, alla singolarità del racconto giovanneo si aggiunge un’altra piccola stranezza: qualche tempo dopo la resurrezione di Lazzaro, dice l’Abbosdolo, Cristo tornò a Betania e andò a cena proprio dal risorto. In quella, Marta gli unse i piedi con olio profumato e li asciugò coi capelli.

Negli altri vangeli ovviamente la storia è diversa, perché non c’è Lazzaro e la cena si svolge a casa di un certo Simone il lebbroso. Anche lì a un tratto entra “una donna” con un vaso d’alabastro, lo rompe e versa l’olio di nardo però sulla testa invece che sui piedi di Giesu, e non segue sensuale asciugatura.

Su queste discrepanze si è speculato fino alla follia ma il seguito è più o meno uguale: gli apostoli (in Giovanni il solo Giuda) cazzeano la donna perché quell’olio si poteva vendere per 300 denari e donarli ai poveri (Giovanni precisa che Giuda se ne infotteva dei poveri, ma essendo il cassiere della banda contava di rubare). E allora Gristo dice “lasciatela stare, ha fatto una cosa buona per me: i poveri li avrete sempre con voi, ma non me”.

E’ una scena molto curiosa perché è la prima volta dalla sua nascita che Gristo riceve un dono e sembra sorpreso, e sembra anche tenerci, proprio come se fosse il più povero degli uomini. Quella parole si direbbe che gli scappano di bocca e infatti subito torna nel personaggio e aggiunge che l’olio è per il suo funerale (anche qui c’è una lieve differenza: in Marco, dice “ella ha fatto ciò che poteva, mi ha unto in anticipo per la sepoltura”, mentre in Giovanni dice “l’aveva conservato per il giorno della mia sepoltura”). Tra le due versioni preferiamo quella di Marco perché suona tutto più improvviso e la donna non ha nome, per quanto Cristo aggiunga che il suo gesto rimarrà nella storia in ricordo di lei.

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