La fiera delle ovvietà

Elia Spallanzani si scervellò tutta la vita senza successo per introdurre qualche novità nella narrativa, ma non era stupido al punto da ignorare che il popolo non vuole niente di nuovo, in nessun caso e per nessun motivo, ma solo qualcosa che sembri nuovo o almeno sia presentato come tale. Questa ovvia constatazione lo indusse a scrivere una delle sue rare storielle acrimoniose, che riportiamo:

“Il professor Renato Girardengo vinse la cattedra a trent’anni (negli anni ’60 era ancora possibile) e prese subito a sfornare articoli molto complicati, colti, fitti di note e gonfi di bibliografie, restando nel complesso assolutamente incacato.

Dopo qualche anno allo stupore seguì da regola la rabbia e lui cominciò a dirsi che la gente era troppo stupida per capirlo, innanzitutto i suoi colleghi. Nonostante questa consolante spiegazione del suo insuccesso accademico, Renato Girardengo diventò un uomo triste e così quasi non si accorse che stava facendo carriera. Tira e tira, i sindacati erano riusciti ad ottenere che gli avanzamenti dipendessero solo dall’anzianità, per cui dopo 15 anni di insistito incacaggio lui era diventato suo malgrado supervisore di non sapeva cosa: altri 5 anni e lo chiamavano presidente[*].

Nel frattempo aveva smesso di scrivere, lezione praticamente non l’aveva mai fatta e quindi un giorno, mentre meditava il suicidio per noia, decise di provare almeno una volta, tanto per vedere l’effetto che fa. Ripulitosi, indossò la giacca e afferrò i primi due libri che si trovò davanti (un volumetto di favole sconce e il ricettario di Dumas), e alle 11 e mezza entrò nell’aula per la lezione delle 10.

Gli studenti e i suoi assistenti rimasero così sbalorditi di vedere il cattedratico che alcuni smisero persino di fumare droga. Nel completo silenzio, il professor Girardengo salì sulla pedana e si rese conto che non sapeva cosa dire. Mille pagine di finissima filologia, il lavoro di una vita, si dissolsero istantaneamente nel suo cervello e di nuovo desiderò di morire. Poi il ronzio di una mosca lo colpì e l’occhio gli cadde su un ragazzotto delle prime file, che lo fissava come se attendesse un oracolo. Allora disse la prima cosa che gli venne in mente: sapete, a volte ho l’impressione che noi ammiriamo solo ciò che vediamo ammirare dagli altri.

Si rese subito conto della banalità che aveva detto ma non fece in tempo a porre distinguo perché un applauso fragoroso lo sommerse. Nel giro di un paio d’ore ricevette dodici proposte di pubblicazione e il bacio del rettore. Quando confuso disse che in effetti non aveva un cazzo da pubblicare gli risposero subito che la sua frase, scritta un po’ larga, andava più che bene[**], e che mai avevano sentito una cosa più illuminante detta più in breve.

E così il professor Renato Girardengo scrisse quarantotto libri in cui ripeteva la terribile massima applicandola a tutti i rami dello scibile. Pensò allora che avrebbe potuto buttare nel mazzo anche qualche suo vecchio articolo, uno di quelli in cui diceva ancora cose intelligenti, ma il suo agente dapprima cercò di dissuaderlo, e poi minacciò proprio di spararsi se ci avesse provato. L’ormai famosissimo professore fu anzi costretto a distruggere quelle prove di un passato oscuro e per ciò stesso squalificante.”

* Del resto lo stesso Spallanzani, come tutti gli insegnanti, fece carriera solo per anzianità: infatti alla fine lo chiamavano il deo cano del collegio (ndr).

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