Nel breve periodo in cui scappò dall’insegnamento e fu clochard a Pagini (in realtà la storia è un po’ più complicata, stava provando un suo spettacolo teatrale) Elia Spallanzani scrisse solo una breve nota intitolata “Dell’elemosina malspesa”.
Qui, premesso che in Francia aveva trovato un altro modo per essere pagato senza lavorare, notava che chi gli faceva l’elemosina si aspettava da lui che la spendesse in alcool e sigarette. Se avesse provato a comprarci, per dire, un piccolo attrezzo per intagliare, i donanti ci sarebbero rimasti male. Il denaro regalato portava con se una specie di destino: doveva restare senza frutto, come bruciato su un altare.
Quest’epifania non aveva nessuna spiegazione, eppure si imponeva. Anche dagli attori ci si aspettava che sperperassero tutto, fino ai miliardi, altrimenti che ne sarebbe stato della morale? Per il popolo l’unico dono che era scostumatezza buttare, concludeva l’Elia, era la vita. Anche in questo caso lui avrebbe voluto uniformarsi alle aspettative della massa, ma giudichi il lettore se ci è riuscito.