Una volta avevamo un cane, poi morse. A volte pensiamo di prenderne un altro ma ci frena lo spettacolo dei possessori di cani messi con le spalle al muro da passanti inconsapevoli. Tipo per esempio ci è capitato di assistere ad una conversazione del genere:
Passante: che bel cane! Ma è di razza?
Proprietaria: le razze non esistono. Lui è Pongo, il golden retriever.
Passante: ammazza, chissà quanto mangia. Gli date gli avanzi?
Proprietaria: siamo vegani, non li vuole. Compriamo la carne apposta per lui, da allevamenti compassionevoli.
Passante: ah. Però com’è tranquillo, l’avete castrato?
Proprietaria: preferiamo considerarla una sua scelta, ha sempre mostrato comportamenti non maschili.
Passante: ah sì sì, anch’io l’ho fatto castrare, anch’io gli compro le scatolette, pure il mio è di razza, è un bovaro del bernese.
Proprietaria: mi scusi ma io non parlo con i fascisti. Addio.*
Il tragico episodio del cane ci conduce a una domanda più generale:
ma come fanno i compagni progressisti a distinguersi dai borghesucci fascisti visto che si comportano esattamente nello stesso modo?
La risposta è “col linguaggio”. Il compagno fa le stesse cose, usa addirittura gli stessi termini, però gli dà un significato diverso da quello usuale. Da ciò la sua tendenza a voler stabilire per decreto che parole si possono usare, e anche cosa significano. Decreto che dovrà essere sempre aggiornato perché non appena tutti avranno iniziato a usare il nuovo linguaggio (casomai con l’aiuto di purghe e sanzioni) il compagno si troverà di nuovo nella condizione iniziale, e cioè quella di non riuscire a distinguere se stesso dagli odiati borghesucci fascisti: che si vestono come lui, agiscono come lui e adesso parlano anche come lui.
Una delle frasi preferite del compagno è che i fascisti odiano i diversi, ma in realtà è noto che tutti gli uomini diffidano dei diversi, mentre riservano l’odio per chi gli somiglia. Ed infatti i compagni odiano ferocemente i fascisti proprio in quanto li vedono quasi uguali a loro, tant’è vero che quando i fascisti battono in ritirata (ma è solo una ritirata tattica, perché i fascisti ci sono sempre, come il lupo della favola), quando battono in ritirata, dicevamo, i compagni sono costretti ad ammettere che odiano gli altri compagni.
Questo gioco senza senso, questo continuo tentativo di allontanarsi dalla cosa odiata solo per scoprire che è impossibile perché quella cosa sei tu, spiega come mai il percorso dei compagni sia quasi sempre spiraliforme e visto dall’alto somigli a un gorgo, un vortice orrendo che risucchia verso un punto non raggiungibile nemmeno in teoria: il nucleo infinitamente massiccio e inerte che chiamiamo “morte”.
* Va anche detto che il fascistaccio sarcofago e seviziatore di cani a questa uscita ci è rimasto di stucco. Lui era assolutamente amichevole e non aveva colto i turbamenti della vegana progressista: non si era proprio accorto di stare partecipando a un gioco sociale in cui ciò che viene detto non ha niente a che fare con la realtà. Ed è proprio questa rozzezza, questa mancanza di elasticità mentale che in realtà gli viene rinfacciata. Una persona più a modo e più istruita avrebbe saputo dare alle sue parole quella lieve torsione che permette di avere il cane di razza negando l’esistenza della razza, di scannare animali per amore degli animali e di tagliare le palle a qualcuno nel suo esclusivo interesse.