Disse Elia Spallanzani:
“Prendo atto di essere un antinarratore: la gente non riesce mai ad entrare in quel che scrivo perché sono troppo pigro per ammobiliarle un mondo. Io non trovo la forza di mettermi a scrivere ogni volta com’era vestito il tale personaggio o cosa mangiava, o di che colore era il cielo sopra il porto: tutti questi dettagli il lettore può metterceli da solo, ma siccome ha comprato il libro perché dovrebbe farlo? Comprano i libri proprio perché non sono capaci di immaginare.
Sta di fatto che io, se mi chiedessero com’era vestita la donna con cui stavo parlando fino a mezz’ora fa, non saprei essere preciso. Di bianco, mi pare, ma com’era la spallina, com’era la gonna? Non so, forse non era neanche bianco, più color magnolia. E per quanto poi attiene al colore del cielo sopra il porto… posso dire che aveva una sfumatura viola vescovo? Ma a questo punto potrei dire qualsiasi cosa, e sarebbero cose che vengono a loro volta da altri libri (il viola vescovo sicuro). Come narratore onnisciente sono oggettivamente scarso, so pochissimo del mio mondo e quel che so è incerto e derivativo e il lettore avverte questa debolezza, si sente turlupinato, derubato delle sue quindicimila lire e del suo ancor più prezioso tempo. La sua vita è già piena di cose poco chiare, ricordi sbiaditi, impressioni vaghe, e dovrebbe sopportarne altre? E pagando, anche? Ma questo è ridicolo, e questo è una bestemmia.
È sempre il vecchio grido che risuona, un libro senza dialoghi e senza figure? e che gusto c’è?; può essere solo un libro da studiare, imposto dalle scuole o da qualche imprevedibile moda passeggera ma tutti i libri che restano nel tempo sono quelli con le figure, la lettura è un passatempo per bambini che gli adulti estenuano, mi pare di vederli, questi quarantenni che giocano col cerchio e coi birilli e siccome a un tratto se ne vergognano decidono che il cerchio è immaginario, i birilli un’astrazione, lo dicono e se lo dicono ma poi di nascosto continuano a giocare coi vecchi arnesi, finché qualcuno di loro indispettito pronuncia l’inevitabile rivendicazione: solo i libracci sono veramente belli, veramente veri! basta fingere che sia un gioco intelligente, libertà di sguazzare nel libraccio.
E questa oscillazione è regolare, il ciclo dura venti o trent’anni e col tempo dura sempre meno, ma è solo un ciclo di secondo livello, diciamo editoriale: la sostanza rimane che anche stavolta io mi sono imbarcato in una cosa per la quale non ho la minima attitudine, il che vale anche per il mio lavoro e la vita personale, ma anche questa cosa che dico, noterà il lettore, mi limito a dirla, non la mostro, e quindi non si vede, l’immagine non sorge, il sentimento non si trasmette, il castello di parole rimane una litania, come una specie di lunga sgangherata poesia, però dirmi poeta, mi ha spiegato Italo, nemmeno mi conviene, perché la poesia non vende.”
In effetti precisare il colore del cielo sopra il porto sarebbe superfluo: ormai anche i sassi sanno che era come un televisore sintonizzato su un canale morto. E pensare che nel leggerlo, da giovane, me ne compiacqui anche.
Già. Ma ora dicci qualcosa che non sappiamo.
Come se ne fossi in grado…
Triste.
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