Il vuoto regge / senza legge (ancora su Escape from New York)

Si vede subito che l’unico personaggio volutamente caricaturale di “1997 fuga da New York” è la terrorista che dirotta l’aereo presidenziale. Il suo trito discorsetto contro gli imperialisti e l’appello ai lavoratori, il fatto che prenda il foglietto per leggere il resto, gli occhi spiritati, il tono virtuoso, tutto la rende ridicola ed è chiaro che l’opera non crede nella rivoluzione, infatti il suo protagonista è di tipo romantico, è un cavaliere solitario (eroe di guerra diventato rapinatore di banche a causa del tradimento della sua nazione: tipico personaggio da western), espressione di una cultura che crede l’individuo libero migliore della massa e quindi non potrebbe mai aderire al socialismo.

Il dirottamento, inoltre, si rivela efficace per puro caso.
Nella sua predica contro l’imperialismo razzista la (bianca) terrorista sottolinea la giustizia poetica del presidente chiuso nel suo “dungeon” (che nella traduzione perde il tono di “segreta”, “luogo di tortura”, per diventare semplicemente “prigione”): anche questo è tipico di certo compagnismo caricaturale (ma non per questo meno reale: anzi), che punta tutto sul piano simbolico. Da un punto di vista pratico, però, l’eliminazione del presidente non avrebbe nessun grave effetto (“fate un altro presidente”, commenta Iena), perché la macchina dello stato moderno non si può inceppare distruggendone una rotella, per quanto importante. Quindi il film conferma che l’estrema sinistra vive in un mondo immaginario, fa gesta simboliche che avranno sempre risultati altrettanto simbolici. Solo che nel caso in questione il fato (non il materialismo dialettico ma il suo rovescio) ci mette lo zampino: il presidente ha con sé qualcosa di unico, la cui perdita rischia davvero di far saltare tutto.

Ma che cos’è veramente? Cosa c’è registrato su quella casetta, e perché è così insostituibile?
Di questo vuoto che regge tutto il film e probabilmente anche ogni vita parleremo ora:

Come già detto, “1997 fuga da New York” ha il pregio di definire un mondo con pochissime parole. Veniamo a sapere che c’è stata una guerra mondiale, anzi non è ancora finita, e che entro 22 ore il Presidente deve partecipare a una conferenza di pace con Russia e Cina ed è essenziale che abbia con sé la casetta che portava sull’aereo.
“Cosa c’è sulla cassetta?”, chiede Iena ad Hauk, che risponde: “Capisci qualcosa di fusione nucleare?”.
Da questa cassetta, aggiunge, dipende il futuro dell’umanità.

Mettiamo per un attimo da parte l’assurdità della situazione. Come è possibile che la cassetta sia insostituibile? Tutto quello che la nostra civiltà produce è riproducibile. Almeno chi l’ha incisa deve sapere che diceva. È mai possibile che non ci sia una copia? L’unica spiegazione, che ci costringe a costruire un passato di questo mondo partendo da pochi indizi, è che il laboratorio e le persone che hanno creato la cassetta siano stati distrutti, in modo che sia sopravvissuto solo l’esemplare del presidente, e che tutto ciò sia successo poco prima del dirottamento, in modo che non ci sia stato tempo di fare copie. La casetta, in realtà, non è altro che l’equivalente della mappa del tesoro di un western.

Nel corso del film questa casetta la sentiamo solo una volta, per pochi secondi, ma non badiamo mai al suo significato: il film riesce a farci pensare sempre e solo alla sua unicità. Perché altrimenti dovremmo chiederci: “fusione nucleare vuol dire energia a costo zero: quindi l’America che vuol fare, offrire questa scoperta durante la conferenza di pace? Offrirla ai nemici per porre fine alla guerra? Per il bene del mondo?”.

Confessiamo che tutti abbiamo pensato a questo, e che perciò il gesto finale di Iena diventa la cosa più idealista e insieme più nichilista dell’universo (ed in fondo è questo che lo rende un antieroe così amato: siccome questa società non mostra un minimo di umana pietà per la morte degli individui, allora non merita di sopravvivere).

Ma ripensandoci un attimo, che senso ha supporre che l’America voglia regalare il segreto della fusione all’umanità? Se lo facesse, questo stato fascista e razzista si rivelerebbe il più straordinario benefattore di tutti i tempi. È infinitamente più probabile il contrario, e cioè che l’America voglia ATTERRIRE i suoi nemici mostrando che dispone della fusione: la pace sarà quindi semplicemente la sottomissione del resto del mondo all’America.
E quindi il finale cambia del tutto significato, o forse assume quello che era il vero significato, che per quarant’anni abbiamo capito al contrario, e infatti nel romanzo tratto dal film è proprio così: l’America non ha nessuna intenzione di fare bene al prossimo.

Ma in fondo quanti dei ragazzi che hanno visto 1997 avevano idea di cosa fosse la fusione nucleare? Quanti hanno pensato alla coerenza del mondo che c’era dietro, descritto in quattro battute? Probabilmente nessuno. Il dinamismo del film ha sparso questi segni, magari senza nessuna vera consapevolezza o intenzione di definire un mondo o l’altro, e si è lasciato guardare come prodotto di intrattenimento: solo chi ha dovuto riempire i buchi per passare a un altro mezzo si è visto costretto a far parlare il “romanzo implicito” che c’era nella sceneggiatura, anzi uno solo dei vari romanzi possibili.

Tutto 1997 ruota intorno a qualcosa che è privo di contenuto, a un vuoto che contiene potenzialità, e la “trovata” della cassetta, imposto dalla necessità puramente drammatica del rivolgimento finale, è forse quello che alcuni chiamano con sussiego “lo specifico” del film, qualcosa che poteva esistere solo in quel contesto.

P.S.

Sempre ripensando a “1997 fuga da New York” ci viene in mente che in una delle prime scene, mentre Iena cammina lungo i corridoi verso l’incontro con Hauk, una voce registrata piatta e burocratica spiega che i detenuti hanno l’alternativa di “terminare” ed essere cremati, invece che spediti sull’isola.
Siccome sono tanti anni che periodicamente rivediamo questo film, constatiamo il modo in cui è cambiata la nostra reazione alla scena: da ragazzi non la notavamo neppure, poi abbiamo cominciato a considerarla cinicamente divertente, poi a riflettere sul modo in cui poteva venire interpretata dallo spettatore, poi a considerarla una banalità. Col tempo la scena ha assunto un tratto odioso, suscitando quello sdegno che ci si aspetterebbe da un adolescente o da un idealista (ma noi, come sempre, abbiamo avuto tutto in ritardo, compresa l’adolescenza). Infine, da qualche anno questa scena è quasi scomparsa dalla nostra memoria, come se fosse una cosa implicita, ovvia. Da ultimo, sentendo quella voce registrata ci è capitato di pensare “menomale”. Siamo arrivati cioè a pensare che il mondo di 1997, come qualsiasi altro mondo, è sostanzialmente immodificabile, e che chiunque non riesca a sopportarlo sarà davvero grato dell’opzione.

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