Nel suo geniale articolo sull’Interpretazione quantistica del delitto della camera chiusa Elia Spallanzani elenca parecchi vecchi gialli basati su questo enigma e sostiene di preferire ancora il più vecchio, “Il grande mistero di Bow” di Israel Zangwill, pubblicato nel 1892.
Il libro in effetti è un classico e non è difficile trovarlo sulle bancarelle, dove l’abbiamo appunto preso per altri due euro. La cosa forse più sorprendente è il suo tono umoristico, che lo rende una sorta di parodia del genere.
Lo stile più che a Dickens fa pensare a Terry Pratchett e forse non è un caso che nel “Grande mistero etc” si faccia anche cenno alla storia dei quattro elefanti e della tartaruga. Zangwill, imitando il successivo Pratchett, tende anche a rovesciare le situazioni e ad attribuire ai personaggi intenzioni opposte a quelle che di norma si presuppongono: ad esempio, il suonatore di organetto si allontana perché “si è accorto di non disturbare nessuno”, o la donna del popolo trova sconveniente che un “signore” sia cortese con lei. In altri casi l’umorismo è più tradizionale, come ad esempio in questa frase: “Urla e lamenti, fischi e grida di battaglia formavano un coro grottesco, simile ad uno dei misteriosi e diabolici motivi di Dvorák”.
Come spesso accadeva all’epoca, il romanzo comparve a puntate e la minore diffusione della scuola dell’obbligo implicava ancora che parecchia gente leggesse queste puntate e scrivesse anche le sue ipotesi di soluzione. Nella prefazione che accompagnava l’edizione in volume Zangwill si prendeva bonariamente e ambiguamente gioco dei lettori, prima sostenendo che aveva modificato lo sviluppo della storia per accontentarli, poi per deluderli, e infine negando qualsiasi influenza. Ma, in fondo, anche la storia di Zangwill è basata sull’idea poi magistralmente illustrata da Spallanzani, e cioè che “la mente è una componente essenziale di tutti i cosiddetti fatti”.