La questione mal posta

Gli avversari del cambiamento climatico (quelli che negano sia causato dall’uomo o comunque minimizzano le conseguenze) usano più o meno le stesse tattiche di negazione della realtà cui ricorrono i progressisti riflessivi quando si tratta dei danni provocati dalle grandi aziende tecnologiche.

Quando si fa notare ai compagni che amazon vende prodotti a prezzi più bassi perché elude la tassazione nazionale, loro rispondono “io compro su amazon perché qui non ci sono negozi / perché i negozietti sono disonesti / perché sono incompetenti”.
Quindi evitano di affrontare il problema e cominciano ad elencare giustificazioni non richieste, basate sulla loro inverificabile condizione personale. A quanto pare abitano tutti nei deserti o in centri storici dove i negozi sono gestiti da sordidi approfittatori ed usurai, razzisti e fascisti. In pratica loro si stanno solo difendendo dalla desertificazione (cui in realtà stanno contribuendo entusiasticamente da anni, perché essendo progressisti e riflessivi sono stati tra i primi a comprare anche i pelati dalla Cina).

Ciò che tengono a sottolineare è che loro non lo fanno per risparmiare due lire. La questione, dicono loro, è mal posta. E poi comunque la colpa semmai è della grande distribuzione, o di airb&b. È anche un problema culturale. Servirebbero più investimenti per istruire il popolo all’uso consapevole delle tecnologie, cioè nel settore educativo in cui, incidentalmente, di solito loro lavorano. La domanda “ma se il risparmio tramite elusione fiscale svuota le casse dello stato, come farà ad investire di più?” non sembra turbarli.

Come si vede il metodo “non sta accadendo, se accade dipende da altro, e comunque io sono innocente perché costretto” è esattamente lo stesso cui ricorrono gli americani quando qualcuno osa far notare che potrebbero anche ridurre un po’ la cilindrata dei loro suv formato ambulanza. Con l’aggravante che, come chiariscono sorridendo i nostri progressisti riflessivi, gli americani sono una banda di semplicioni e ignoranti, mentre loro hanno anche studiato i filosofi della decostruzione.

Il fatto è che il progressista riflessivo, avendo sempre lavorato in settori difesi dalla concorrenza a spese della comunità, stenta a comprendere il significato di questa strana e arcana parola. Secondo lui esiste una concorrenza buona, che abbassa i prezzi delle tinte per capelli e degli obiettivi della reflex che servono a lui, e una concorrenza cattiva, che vuole subdolamente introdursi nel suo campo di lavoro distruggendo la cultura e la libertà. Del resto lui crede anche nell’odio buono o cattivo, come crede che si debba investire per produrre agrumi in perdita poiché migliorano il paesaggio, mentre trova che vendere la casa dei nonni a una società con sede in Lussemburgo affinché, dandola in gestione a dei cinesi, ci faccia un b&b veramente familiare ed accogliente, sia un contributo alle sorti progressive, e conviene pure. Così coi soldi della casa potrà ritirarsi nel deserto ravvivato dagli agrumi antieconomici e dagli ulivi che fanno l’odio dop, a telelavorare per il bene del popolo e ad ordinare le casse d’acqua su Amazon (0,32 a bottiglia invece di 0,35). Naturalmente darà la mancia al rider, e questo va per quello.

Il povero nonno, che aveva fatto la resistenza invece della resilienza e considerava la mancia un’abitudine dei borghesi per autoassolversi, non potrà nemmeno rigirarsi nella tomba, perché è ancora vivo nella comoda residenza per anziani finanziata dallo stato e si chiede se qualcuno del suo sangue ogni tanto va a bagnare le piante del balcone.

Comunque il più bello dei progressisti riflessivi rimane sempre quello che NON lavora in settori difesi dalla concorrenza ma spera di entrarci. È, prevedibilmente, il più accanito e riflessivo di tutti, anche perché deve dimostrare la sua fedeltà al gruppo che dovrebbe cooptarlo. Naturalmente ciò non accadrà mai. Sì, un giorno “stabilizzeranno” anche lui con qualche finto concorso o per pura anzianità, per fedele servizio di lingua diciamo, ma non farà mai davvero parte di quel gruppo. Sarà sempre un pervenuto, uno arrivato “con le infornate”, e il suo trattamento sarà sempre inferiore rispetto a quello precedente, per la banale ragione che il trattamento precedente era già insostenibile, e quindi per poterlo mantenere a vantaggio di chi ha “i diritti quesiti” è inevitabile che lo paghino anche gli infornati successivi. Da ciò quell’astio inspiegabile che l’infornato comincia ad avvertire intorno ai cinquant’anni, quella curiosa sensazione di tradimento che, all’anticamera della pensione, lo induce ad amare considerazioni sul fallimento della sua generazione: astio che, non potendo essere riversato sui compagni a causa di un evidente e abituale meccanismo psicologico di negazione della realtà, verrà scaricato sul fascismo eterno, su Briatore, sui giovinastri senza ideali.

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