In televisione abbiamo visto un altro spettacolo teatrale, “Il padre”, con Haber e Lucrezia Lante etc. Non tutto, perché in televisione non si può vedere uno spettacolo intero: anche in mancanza di interruzioni pubblicitarie la tua mente ce le mette lo stesso, per abitudine. La storia poteva attirarci perché è basata su una nostra grande paura, quella di perdere la memoria e trovarci in un mondo fatto di sorprese orrende (il mondo è già orrendo, ma almeno prevedibilmente).
Il padre del titolo è Haber, che ha una sorta di alzheimer e alcune scene sono mostrate dal suo punto di vista, con gente che diventa all’improvviso irriconoscibile e fatti che si liquefano: questa, a quanto pare, è considerata la trovata “geniale”, come anche il fatto che gli arredi della scena diventino sempre più semplici: altra “geniale” ossia scontata trovata per mostrare l’impoverimento del mondo di Haber.
Ma, al di là dei soliti trucchetti da mimi di statue, resta il fatto che Haber come Silviorlando è più una maschera che un attore: per quanto uno voglia chinarsi sulla buffa e sfortunata figura, è sempre l’Haber che hai già in visto in tante piccole parti in tanti piccoli film, con la sua confusa concitazione. Quando cerca di allontanarsi da se stesso, invece di ammirare la metamorfosi ti trovi a pensare con fastidio “ma questo non sembra Haber”. La sua maschera quindi è più potente del personaggio, lo copre e lo cancella.
D’altro canto, uno potrebbe chiedersi, che cazzo vorresti? Una specie di camaleonte? E non sarebbe ancora più volgare? Perché non confessi che parli per partito preso, che hai semplicemente in odio certa gente e rovisti nel cervello per giustificare il fatto di dargli addosso? Ma, ci si risponde, potremmo mai noi odiare Haber? Che ci fa anche in un certo senso tenerezza, come pure i vari silviorlandi, i buoni vecchi caratteristi del teatrino nazionale inopinatamente assurti a mostri sacri? Eh, lo vedi che ricominci? Vesti il disprezzo da compassione ma lo sai anche tu che si vede, tu vuoi che si veda perché sei una brutta persona, e anche diciamo la verità noiosa, prevedibile. Se almeno fossi una brutta sorpresa, qualcuno potrebbe anche sopportarti. Beh, a parte che preferiremmo che ci si desse del voi, questo un po’ è vero ma di nuovo pensiamo che la meschineria prevedibile sia più bella, più umana… insomma noi siamo quello che siamo e tutto ciò che parliamo diventa appendice di noi, la nostra maschera copre l’oggetto ed è questo il motivo, l’avrai forse capito, per cui non tolleriamo, non possiamo cedere davvero alla compassione, che ci serve tutta per noi, per la nostra memoria sempre più debole e la nostra protesta sempre più infantile, e che fine hanno fatto le nostre cose, dove le hanno messe? Perché ci trattano come bambini?
P.S.
Non abbiamo niente contro le vecchie “trovate”, a noi piacciono le cose vecchie. È spacciarle per “trovate”, cioè nuove, che ci indigna. Sarebbe semmai corretto chiamarle “ritrovate”.
P.P.S.
Ieri e oggi abbiamo parlato per tre ore con un tizio di questioni pratiche importanti, ma a distanza di poche ore non riusciamo a ricordare come si chiama.
Notiamo anche un numero crescente di errori di battitura nei nostri post. La versione di fb per cellulari non ci fa nemmeno correggere, ma forse questo è un bene perché, appunto, almeno ci accorgiamo del loro numero.
Qualche giorno fa abbiamo scritto di un artista, un vecchio, e nemmeno di lui ricordiamo più il nome.
Stamattina ci era venuto in mente un umoroso giuoco di parole, ci ripromettevamo di annotarlo perché temevamo di scordarcelo ma poi ci siamo dimenticati di farlo.
Nel leggere i titoli dei giornali su internet ci capita sempre più spesso di confondere una parola con un’altra. Incidentalmente, i titoli assurdi che derivano da questi errori risultano poi non molto più assurdi di quelli veri.
È chiaramente in atto un processo degenerativo, che in parte dipende dal parossismo con cui ormai affrontiamo la realtà e in parte potrebbe anche avere una base biologica, un vero e proprio danno cerebrale derivante dell’invecchiamento o da qualche subdola malattia.