Quando chiesero a Elia Spallanzani se si aspettava che da morto gli erigessero una statua, il grande vecchio rispose: “Non so, le statue moderne, diciamo realistiche, hanno una brutta tendenza. Una volta la statua ti idealizzava, divinizzava, ti condiva di segni sovrumani mentre adesso fanno solo fotografie tridimensionali, in pose ordinarie, persino dimesse, che sembrano doversi trasformare da un momento all’altro in una gogna. Tirare pomodori a una statua di Marco Aurelio non la priverebbe di maestà mentre immagina una statua di Andreotti, grigia, triste, con la sua giacchetta e magari le mani dietro la schiena… ci vorrebbe pochissimo per vederla come un’ingiuria”.
Quando poi gli chiesero se era un razzista rispose: “Macché. Per mia esperienza i membri delle minoranze si odiano già tanto tra loro che sarebbe davvero poco sportivo. Incidentalmente, lo stesso vale per le donne”.
Va senza dire che dopo gli tolsero tutti il saluto, compreso il postiere.
P.S. Qualche persona ignorante continua a dire che questi frammenti spallanzaneschi sarebbero apocrifi. Purtroppo no, sono tutti veri, e sono solo una minima parte di quelli disponibili.
Come i nostri libri sparsi a casaccio, così il materiale spallanzanesco si è accumulato oltre ogni ragionevolezza o possibilità di sistemazione. Beati i curatori dell’opera di autori comuni, gente che ha scritto i suoi quattro libri e finita lì, gente le cui carte accumulate restano pur sempre in secondo piano rispetto allo stampato, pubblicato, al canone stabilito dall’autore o dal caso ma comunque stabilito. Lì esistono livelli definiti: certo per cercare di tirar sù quattro soldi gli eredi faranno pubblicare anche la lista della spesa ma un criterio rimane: questo è il testo, queste le note, queste le note alle note etc. Nel caso di Spallanzani ciò non avviene perché la sua opera è praticamente tutta allo stesso livello e tra le tante versioni dello stesso paragrafo non si sa nemmeno quale sia la prima e quale l’ultima, persino i testi pubblicati o sono introvabili o presentano tali sconcertanti differenze tra una copia e l’altra che potrebbero anche essere altri testi. Inoltre non cessano di spuntare versioni e perciò questa cura è come affannarsi a seguire i contorcimenti insensati di un vivente, privi di quella bella serietà e stabilità che solo la morte può conferire.
All’orrendo e crescente gomitolo delle carte spallanzane (dove per carte bisogna intendere anche i file, quando il vecchio pazzo mise mano al computer) si aggiunge il gomitolo delle nostre: mille, duemila pagine, cinquemila, tutta roba che non si può più “sistemare”, che non abbiamo la forza di sistemare e che si accumula inutile e pletoricamente inestricabile, che richiederebbe a sua volta un dedicato curatore, anzi più di uno, una frotta di disutili pagati dallo stato per produrre commenti a commenti di commenti di commenti…