Il terrore della logica

“Mi reputavo possessore d’illimitate energie e l’orgoglio mi suggerì il folle proposito di provarmi a fare un miracolo”.

Sulla bancarella abbiamo preso per un euro, che è in realtà è il doppio del suo prezzo originale*, una squallida edizione di “Inferno”, di Strindberg.
La prefazione suggerisce che non si tratti del verace diario di un periodo psicotico ma di una costruzione dell’autore, uno che da ragazzo voleva fare l’artista. Del resto anche la figlia di Strindberg era convinta che il padre fosse un simulatore impenitente. Il problema, si capisce, è irrilevante: che Strindberg fosse davvero imparanoiato duro o che fingesse può interessare solo a chi deve scriverne una biografia, cioè a quei rozzi personaggi che nel ventunesimo secolo si occupano ancora dell’autore.
Ciò che colloca il testo nel filone classico della narrativa fantastica è il dubbio costante sulla realtà di ciò che sta avvenendo. La voce narrante accumula segni e coincidenze da cui deduce una vasta cospirazione ai suoi danni, però nota anche le spiegazioni naturali di questi fenomeni: “Tutto dunque è chiaro, naturale; tutto si spiega. Eppure io ho il terrore di questa logica così semplice che mi fa impazzire”.
Si potrebbe sostenere che col tempo il fascino dell’ignoto sia stato sostituito dal terrore della logica, come il desiderio di viaggiare è stato sostituito dal disgusto per ogni domicilio. Invece di andare verso ciò che non conoscono, gli uomini fuggono da ciò che conoscono troppo bene: non si spera che l’altro mondo sia migliore di questo, ma appena un po’ meno atroce. La differenza può sembrare solo linguistica ma, ovviamente, non esiste nient’altro che differenza linguistica.
Comunque Strindberg non sprofondò completamente, anzi ebbe grande successo. Abbracciò con volubilità questa o quella idea sociale e alla fine passò anche per compagno, quindi per uomo di cuore. Nel raggiungere il successo fu anche favorito dall’essere svedese, perché i suoi concittadini avevano sempre avuto difficoltà a trovare tra di loro qualcuno che valesse qualcosa e quindi erano portati a sopravvalutare i loro pochi e mediocri artisti. Ma questo… tutto questo è accademia.

“Io sono in attesa di una catastrofe, senza che io possa dire quale essa sarà”.

(Si confronti l’annotazione spallanzanesca: “Allora uno finisce per desiderare davvero un mondo di squilibrio e di terrore: vuole vivere nel trauma, essere confermato nel trauma, che è anche un sogno, e inconsciamente, inconsciamente, e poi sempre più consciamente, lui prepara la catastrofe”).

 

P.S. Qualche anno fa sempre sulla bancarella avevamo comprato  “Il Tennis, Strindberg e l’elefante”, di Lars Gustafsson, un racconto del 1979 pubblicato in Italia nel ’91 che descrive la vita di un professore di letteratura del nord europa in Texas. Strindberg in effetti c’entra soltanto perché uno studente trova appunto un libretto che dimostrerebbe come “Inferno” non sia un delirio ma una cronaca puntuale di fatti realmente accaduti, ma più che altro il libro parla di tennis.

A questo proposito ci chiediamo per quale motivo c’è questa assurda convinzione che il tennis sia uno sport per persone intelligenti. La leggenda è stata diffusa da Wallace, ma come questo libro dimostra esisteva già prima. Probabile che dipenda dalla relativa facilità di costruire campi da tennis vicino alle università: se ci avessero costruito campi di bocce, lo sport intelligente sarebbe stato quello. Comunque l’autore di “Tennis, Strindberg ect” si sente anche lui molto intelligente e ci tiene a far sapere che ne sa a pacchi di Nietzsche ma anche di cibernetica e, si capisce, di tennis. Tutti i conoscenti del protagonista del resto sono forti e disinteressati giocatori di tennis, studenti brillantissimi che scoprono documenti eccezionali, giovani geni del tennis e del computer che godelizzano testi e giocano con computer capaci di scatenare la terza guerra mondiale, ragazze nicciane squattrinate e molestate da un direttore d’orchestra italiano che puzza d’aglio. Il racconto, per molti versi, è insignificante, per quanto (qualcuno direbbe) scritto “bene”. L’unica parte che fa un po’ sorridere è la descrizione di un eccidio nel campus ad opera del (già allora solito) sparatore solitario.

Ci sono anche (nel 1979) delle considerazioni sull’influenza della politica sulle università americane. Considerazioni che dovrebbero essere buffissime, nelle intenzioni dell’autore, e che invece mostrano come egli sia sostanzialmente convinto che gli americani sono degli imbecilli, nonostante si affanni a descriverli come dei geni.

Parlando di Wallace, ci torna in mente che tanti anni fa, poco prima di uccidersi, era stato in Italia per presentare qualcosa. Avevamo letto un articolo su quella presentazione e ci aveva colpito sopratutto perché il/la giornalista culturale sottolineava parecchie volte che Wallace aveva molto apprezzato la cucina locale, anzi che in poche ore era diventato golosissimo di qualche specialità che ora non ricordiamo, tipo i peperoni imbottiti o i polpi affogati. In effetti tre quarti dell’articolo erano dedicati a questo colpo di fulmine tra Wallace e i saperi-sapori locali. D’altronde c’è da credere che anche se resuscitasse Cristo e si mettesse a concionare gli articoli del giorno riguarderebbero tutti cos’ha mangiato prima o dopo il discorso della montagna. Noi non abbiamo mai considerato Wallace un genio, ma probabilmente era una persona sensibile e la lettura di simili articoli deve aver contribuito in maniera significativa al suo suicidio. Perché una persona intelligente, istruita, una persona DECENTE non può far altro, dopo aver letto le marchette pubblicitarie spacciate per pagine culturali, che disperare.

* Il bancarellaro diventa sempre più arrogante. Voleva 20 euri per 4 libretti che avrà avuto gratis svuotando qualche cantina. Proprio perché siamo dei signori, gliene abbiamo offerti 10 aggiungendo un altro libraccio. Allora ha cominciato a dare in escandescenze, ad accusarci di voler speculare, ed ha invocato i cinque stelle come protettori della povera gente onesta. Ma se non hai mai fatto uno scontrino in vita tua, ci è scappato detto, e allora la sua fierezza di sciacallo, abusivo, evasore ed usurpatore di suolo pubblico ha avuto un sussulto e si è messo a gridare “questa è una fiera letteraria! Io non vendo, io scambio!”. Al che abbiamo guardato la distesa di robaccia continuamente rimestata dagli aiutanti di colore (sicuramente volontari culturali) e per la millesima volta ci siamo detti che un giorno tutti i nostri libracci finiranno su bancarelle simili, preda di simile gentaglia, e che l’unico modo per evitarlo è il fuoco. Se non fosse che adesso fa troppo caldo. Ma quest’inverno il falò lo faremo davvero.

P.S. alla nota. Comunque dei 3-4mila libri che abbiamo accumulato non ce ne sarà uno che oggi valga il prezzo di copertina. Non abbiamo mai badato alla rarità di un libro e nemmeno all’età, compriamo roba vecchia solo perché in genere chi scriveva cinquant’anni fa conosceva almeno la grammatica. Lo scadimento delle edizioni poi è incontestabile: i libri che escono coi giornali spesso sono ocr nemmeno riletti. Le edizioni economiche di una volta cadono a pezzi, ma il testo più o meno è corretto.

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