Qui alla Fondazione non abbiamo abbonamenti televisivi, guardiamo la tivvù dei poveri e in genere non scegliamo nemmeno canale, lasciamo il primo che capita. Così ci è toccato di vedere un paio di volte le puntate de “il ritorno di Colombo”, serie girata più o meno dieci anni dopo quella classica.
Le nuove (per modo di dire) storie sembrano più semplici e improbabili delle vecchie, i nuovi assassini più volgari, così come è più volgare il linguaggio. Lo stesso tenente, invecchiato, ha qualcosa del satiro lascivo, una sgradevole lucentezza della pelle.
A parte le ovvie considerazioni che già facemmo tanti anni fa, abbiamo notato ancora una volta che Colombo viola le leggi: non avverte mai l’indagato che è indagato, anzi si affanna a rassicurarlo che non lo è, e non procede mai a formali perquisizioni, anzi si introduce con delle scuse in casa dell’indagato e raccoglie anche prove in mancanza di contraddittorio. La sua preda non ha diritti di difesa e nemmeno la facoltà di non rispondere alle continue “ultime domande” che il tenente pone fino sulla soglia di casa.
È evidente che nel 99% dei casi le “prove” raccolte da Colombo non sarebbero valide in un giudizio e infatti noi avevamo pensato di fare una serie parallela, in cui si mostrava che i colpevoli incastrati dal diabolico tenente di solito poi venivano assolti dalle giurie, per la disperazione dei superiori e il meschino compiacimento del tenente (e dello spettatore), felice di essere l’unico ad aver capito.