Non ricordiamo chi molti anni fa accusò i suoi avversari politici di essere dei “turisti della democrazia”. Al di là della pertinenza dell’accusa, la carica di disprezzo contenuta in quel “turisti” era senz’altro condivisibile. Turista è in se una parola sporca e un’ingiuria, riassume già da sola il pressappochismo, la crassa ignoranza, la svergognata e anzi fiera cretinaggine di queste cavallette della nostra era. Moltissimi sono i turisti: turisti della musica, della letteratura, turisti della politica, tutta gente che con leggerezza calamitosa invade ambienti antichi, complessi, fragilissimi, e che nella presunzione di potervisi immergere senza conoscerli finisce per trasformarli in caricature, a immagine e somiglianza di cialtrone.
E la cosa più tragica è che questi turisti sono considerati i più adatti a tirare in quegli ambienti altri turisti, altre cavallette, stomachevoli rimasticatrici. Questi turisti vengono chiamati “divulgatori”, cioè in teoria guide, ma in pratica pubblicitari e corruttori: tornano dall’isola Pavese e raccontano meraviglie, cioè la quattro cazzate in croce che hanno letto su wikipedia e nemmeno capito: tornano dal continente Gadda e “spiegano” che persino lì si trova qualche bel ristorante italiano dove si mangia come a casa, cioè nel comune porcile sottoletterario. Offrono biglietti economici per le lontane e ardue galassie dell’arte e del pensiero e nessuno li chiama truffatori.
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