L’inno della perla

Quel peculiare individuo che fu Elia Spallanzani aveva preso l’abitudine, quando scriveva alla nipotina Letizia, di chiudere tutte le lettere con un “ciao, e non ti dimenticare”. Di fronte alle domande della nipote su cosa non dovesse dimenticare il vecchio pazzo tergiversava, parlava di un codice ancora da sgranare, faceva allusioni, finché quella si convinse che era solo una delle sue solite manie.

Molti anni dopo la morte dell’Elia, durante il famoso e noioso viaggio in treno che l’avrebbe fatta incontrare col Fondatore dando inizio alle nostre imprese, Letizia si accorse con stupore che dell’Elia ricordava ben poco. Era stato uno scrittore, sì, anche un grande scrittore, ma in effetti che aveva scritto? E la sua faccia, che ricordava genericamente senile e ansiosa, in pratica com’era fatta?

Nel corso dell’interminabile conversazione con quello sconosciuto incontrato sul treno le sembrò quasi che invece di subire delle domande le venissero suggerite le risposte. Ma è vero che era nato in quel posto, che era andato in Francia, era vera la storia del processo, e la separazione dalla moglie? Sì, è così diceva lei un po’ sovrappensiero, e invece a volte diceva no e correggeva una data o un fatto ma sempre guardando in faccia quell’individuo come a chiedere una conferma o almeno la definizione di un patto e ricordò anche che suo zio le aveva raccontato più volte il suo sogno del treno, la mano sul libro che non si poteva aprire e che ricordava un poco quello che ora aveva anche lei sotto la mano e che un minuto prima poteva non esserci ma invece era un libro vero, un normale libro della sua catasta da studentessa che aperto anche lui casualmente a mezzo conteneva la frase “mi ricordai della perla per la quale ero stato mandato in Egitto”, dal Canto dell’Apostolo Giuda Tommaso nella Terra degli Indiani.

Non ti dimenticare, disse, ricordati: non di me, di te. Ricordati, ricorda.

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