E’ morto Balestrini. La Fondazione lo ricorda più che altro per “Tristano”, stampato nel ’66, che doveva essere composto mischiando casualmente una serie di brani ma che per le limitazioni tecniche dell’epoca fu stampato come un libro tradizionale. La riedizione del 2007 invece rispettava l’idea iniziale: ogni copia è diversa.
Nel 1961 Balestrini aveva usato un computer per generare delle poesie (Tape Mark 1), pochi mesi dopo che Queneau aveva pubblicato “Cent mille milliards de poèmes”, fregando il primato alle Centomilamiliardi di preghiere di Elia Spallanzani. La creazione di testi in maniera casuale però era un’idea già vecchissima. In “1984”, del ’48, le canzoni sono composte casualmente da una macchina, e nel 1972 Wilcock già sottolineava che il “filosofo universale” di Swift era diventato la principale fonte della filosofia e della poesia moderne, ossia di “quel vasto settore di indagine a scopo voluttuario o decorativo consistente nel causale accostamento di vocaboli che nell’uso corrente raramente vanno accostati, con susseguente deduzione del senso o dei sensi che eventualmente si possono ricavare dall’insieme”.
Spallanzani, Queneau e Balestrini quindi non solo non avevano inventato niente, ma fornivano al popolo dei mezzi elementari per produrre un’infinità di paccottiglia forse ancora più illeggibile della media, ed anche una sorta di giustificazione intellettualeggiante del processo. Il loro contributo alle storia, per quanto minimo e tecnico, andava quindi nella direzione del “dissolvimento”. Naturalmente bisogna continuare a distinguere la funzione meramente acceleratrice di personaggi nocivi come Balestrini e Queneau da quella realmente (sebbene occultamente) innovativa dei PROFETI, quali Spallanzani.
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