È ovvio che l’agiografia degli scienziati si scrive sul modello di quella dei santi, e per gli stessi scopi: giustificare la struttura. Il momento della scoperta è sempre rappresentato come un’illuminazione istantanea, con tanto di occhi sgranati di fronte alla luce ulteriore: non c’è nessun tentativo di rappresentare il lento e macchinoso studio né di far capire che cazzo è successo davvero, tanto nessuno capirebbe, quindi si va sul mistico. Se la sorte dello scienziato è infelice meglio ancora, perché c’è anche il martirio. Lo scavo psicologico è minimo, nella migliore delle ipotesi il modello è l’infantile Spock: una mente disumana ma in fondo buona, con l’elementare etica che i bisogni di molti contano più di quelli di pochi, o di uno. In realtà i vecchi film dell’orrore con gli scienziati pazzi coglievano meglio e anche in modo molto più realistico la componente accumulativa e ossessiva del genio.
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