L’arte del Giullare

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La sostituzione dell’opera d’arte durevole con qualcosa che va continuamente riprodotto o ri-rappresentato è solo l’applicazione nel campo culturale dell’obsolescenza programmata e della fragilità delle merci. Devi cambiare continuamente telefono e devi andare al concerto invece di comprare il disco perché la macchina che estrae lavoro dagli uomini deve continuare a girare. Marx dovrebbe essere divertito dal fatto che il capitalismo ha bisogno di un capitale niente affatto monolitico, anzi friabile e perituro come la più umile forma vivente*.

Anche la triste sfilata televisiva dei presentatori di libri è, oltre che pubblicità, una forma di riproduzione “live” della merce. Per quanto parassitario è un lavoro, e il popolo ama guardare il lavoro altrui, sente per istinto che vale la pena pagare per guardare i pagliacci che si dimenano**. Inoltre a furia di sentir suonare il libro dall’autore il popolo si convince pure di averlo letto, che poi è una delle ragioni per cui non lo compra. Infatti è sicuro che gli autori noti potrebbero farsi pagare per presentare libri che non hanno scritto e quasi nessuno se ne accorgerebbe.

Anche le serie televisive sono un modo di affrontare la caduta tendenziale del tasso di profitto distruggendo e ricostruendo in continuazione le stesse cose, con minime varianti, ed impiegando più persone. Migliaia di attori, sceneggiatori, cameraman, attrezzisti, lavorano su decine e decine di prodotti molto simili, composti a loro volta da ripetizioni e variazioni di blocchi narrativi noti.

Il processo diventa visibilissimo quando la serie di successo modifica qualche fatto del passato per ripartire: allora si vede che è proprio sempre la stessa buca scavata e riempita di nuovo, e di nuovo, e di nuovo. Lo sviluppo (o inviluppo) ulteriore sarebbe un telefilm ripreso in diretta, tutti i giorni, come una specie di vecchia commedia a canovaccio continuamente reinterpretata; come se non esistesse modo di registrarla***.

giacomini

Il cinema e la televisione vanno verso un reality permanente e controllato e l’ideale per loro sarebbe poter distruggere le puntate man mano che vengono girate, compito che per ora è ancora affidato al benevolo oblio dello spettatore. La disattenzione e la scarsa capacità di ricordare non sono effetti collaterali dell’età dell’informazione: sono conseguenze volute e ricercate, per poter dire ogni giorno più o meno le stesse cose senza che nessuno se ne accorga. Chi controlla il presente cancella il passato e chi cancella il passato non ha bisogno del futuro****.

Si può anche aggiungere serenamente che tutta l’arte degli ultimi cinquant’anni è semplicemente una manifestazione del processo di distruzione e ricostruzione tipica del capitalismo al tramonto. Non a caso una carrellata di quelle opere, dopo l’iniziale confusione, produce un effetto di angosciante immobilità. Con la scusa di denunciare il processo gli artisti si limitano a perpetuarlo: sono come sentinelle che annunciano ogni sera l’arrivo del nemico senza mai tirare nemmeno una freccia.

Tutta l’arte che si definisce lavoro, tutta l’arte della performance e dell’impermanenza è serva del capitalismo e non a caso ricorda quei disgraziati mimi di statue che chiedono l’elemosina sul corso. Il mimo di statue coniuga e svela: l’artista pagliaccio, la figura veramente emblematica di oggi. Per sopravvivere non ha bisogno che della capacità di soffrire. L’immobilità forzata che una volta si imponeva ai bambini discoli adesso è un’esibizione dello spreco che uno fa di sé.

manconi

Il mimo di statue lascia la sua posa per sorprendere e spaventare. È un effetto drammatico poverissimo, forse il più povero del mondo, e funziona solo una volta; e siccome lui lo sa, si piazza dove la fiumana di gente equivale a un unico spettatore infante, senza memoria, che si stupisce ogni volta come fosse la prima.

Lo spettatore del mimo di strada è l’obiettivo della rete, il massimo effetto col minimo dello sforzo, l’ovvietà da due milioni di like, la stessa frase ripetuta ogni giorno che passa per un’inedita lepidezza, o meglio ancora per una scandalosa bestemmia. Bisogna solo sputare sangue per conservare il proprio posto a margine del fiume, solo mortificarsi per restare immobile, mentre il fiume porta, e anzi diventa, il cadavere del futuro.

 

Come il mimo di statue, l’arte moderna ti sorprende solo una volta, e solo per un istante. Quando la vedi per la seconda volta prevale subito il suo far cagare. L’ambiente adatto per queste opere non è il museo ma la rivista, e infatti i musei che contengono questa roba devono essere belli di per se perché la gente ci vada più di una volta. In verità quella roba ha come unica giustificazione che costringe a costruire musei sempre più accattivanti, come del resto avviene per il cibo spazzatura servito in locali fini. Messe in un deposito di cemento, quelle opere rivelerebbero troppo in fretta la triste cagata che sono.

P.S. Tutte queste considerazioni scaturiscono in verità da un episodio poco edificante. Alcuni giorni addietro, trovandoci ospiti, abbiamo fatto cacca in un cesso straniero (operazione sempre delicata e non priva di rischi), e vicino c’era una rivista d’arte di qualche anno fa. La sfogliavamo per distrarci dall’atto quando abbiamo visto la foto di un cinese che si fa dipingere addosso il paesaggio per sparire nelle foto*****.  Tre, quattro foto del cinese. Corredate da un articolo che spiegava la bellezza se non la genialità dell’atto (quello del cinese), e la sua pregnanza di significati.

Consapevoli dei luoghi comuni sull’arte moderna e i suoi esegeti, siamo comunque stati colti da un pensiero triste, e cioè che la sorte di quella seria e patinata rivista fosse di essere letta nel cesso da chi l’avrebbe dimenticata appena tirato lo sciacquone; e poi da un pensiero ancora più triste, e cioè che tutto questo, consumo durante la cagata incluso, è ampiamente previsto e voluto, innanzitutto dal cinese. Ed è per questo che noi temiamo ogni giorno di uscire pazzi, non solo per il cinese.

Comunque non si creda che disprezziamo la ripetizione, anzi l’amiamo, e l’amava anche Spallanzani, basta leggere il suo “Buona la seconda“. Amiamo la ripetizione e l’infinita variazione. Quello che ci sta sul cazzo sono i mimi di statue e il loro pubblico.

 

* L’unico capitale che non si usura e che quindi è destinato alla stasi e alla morte è quello che si accumula nel nostro cervello, nei circuiti del mistero.

** T.S. Eliot fu chiamato a leggere la Terra Desolata al cospetto della famiglia reale. Questo onore era in realtà un modo di riportare il letterato al suo antico ruolo di pagliaccio. La regina infatti serbò questo tenero ricordo del poeta:
“…then we had this rather lugubrious man in a suit, and he read a poem . . . I think it was called The Desert. And first the girls got the giggles, and then I did, and then even the King.’
‘The Desert, ma’am?’ asks Wilson. ‘Are you sure it wasn’t called The Waste Land?’
‘That’s it. I’m afraid we all giggled. Such a gloomy man, looked as though he worked in a bank, and we didn’t understand a word.’”

*** L’arte (la vita) è digitale da quando esiste la scrittura. La società digitale esiste da almeno cinquemila anni. Non c’è da stupirsi che sia un po’ stanca e sogni l’analogico.

**** Si noti: la produzione di migliaia di piccole varianti delle stesse storielle da serial potrebbe apparire uno spreco di risorse, ma quello spreco è necessario. Senza ci sarebbe stagnazione e insieme progresso. Siccome il futuro è il comunismo, il capitalismo crea un presente eterno e nasconde (come l’Impero) il passaggio del tempo, distruggendo il surplus che porterebbe al gradino successivo. Il capitalismo rende volutamente impossibile ciò che i mezzi consentirebbero, proprio perché lo consentirebbero. Il fatto è che il capitalismo dominante è una forza regressiva e questo spiega parecchie apparenti contraddizioni.

***** Nonostante la mossa non sia originale e si esaurisca nella sua stessa descrizione, pare che il cinese stia ancora girando per farsi queste foto. In realtà potrebbe ottenerne quante ne vuole con photoshop ma allora non ci sarebbe la componente “mimo di statua”, cioè lui che sta fermo dieci ore mentre lo dipingono e lo fotografano. Insomma non sarebbe un lavoro.

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