Un ricordo dell’eclissi

In occasione dell’eclissi che sta beneficiando gli Stati Uniti riportiamo un brano diaristico del Nostro che ne ricorda un’altra. Come al solito Spallanzani imbroglia le carte perché l’unica eclissi totale cui potrebbe aver assistito è quella del 1961, mentre il ricordo si riferisce all’infanzia e quindi agli anni ’30.

Nell’immagine, il sole sabotato da fondamentalisti per trasformarlo nella sleale mezzaluna.

“Sotto casa mia, quando ancora vivevo a ***, c’era e c’è ancora quasi un ettaro di terreno brullo, con i resti di case abbandonate. Lo so per certo perché l’ho rivisto venendo qui. Noi ragazzi ci andavamo a giocare alla guerra. All’inizio era lo stato di natura, tutti contro tutti, ma col moltiplicarsi delle faide due o tre giovinastri dovettero scoprire la tregua tattica e si coalizzarono contro gli altri. Nacquero così il compromesso e la finzione, perché le alleanze cambiavano nel tempo di una merenda, si allargavano e prima che me ne rendessi conto, ero arruolato nella banda dei palazzi alti.

Le cose non vanno come nei romanzi per ragazzi, non ci furono promesse solenni né patti di sangue. Semplicemente, le due bande del paese si riversavano alla spicciolata nel terreno mortifero e lì gironzolavano strappando le erbe, rotolando sui monticelli di sabbia, spaccando bottiglie e cassette di legno, strappando zolle e badando che avessero un cuore di pietra: le mettevamo da parte per il momento buono. Visto dall’alto, tutto quel moto caotico di venti esseri soli doveva apparire come una doppia spirale: ogni braccio convergeva insensibilmente verso un fuoco e d’improvviso, senza che nessuno avesse dato il segnale, al posto di tanti individui c’erano due gruppi, cominciava la guerra.

Quel giorno faceva un caldo atroce, proprio come oggi. Ogni giorno era lunghissimo e uguale al precedente sotto il cielo e in quel campo le ho date e le ho prese non saprei dire quante volte, l’unico segno che mi resta è questo spacco nel labbro, qui, dove adesso c’è una pallina. Si riapre a ogni inverno.

Ancora ignoravamo la pietà, ma le cose cambiavano. Nel tempo infinito di una settimana di agosto le due bande provvisorie collassarono e finalmente emerse un solo capo, il figlio del medico del paese. Non era il più grande, né il più forte, anzi era scialbo e pareva ottuso, tanto da non avere paura. Questo ci conquistò. Sotto di lui, uscimmo dal terreno abbandonato per vandalizzare i portoni dei condomini, spaccare le finestre e minacciare i ragazzi delle altre strade.

La tensione saliva ai confini, alcuni genitori si lamentavano. Un giorno il capo intuì o copiò l’idea che avvolgendo paglia unta attorno alle semplici canne potevamo realizzare torce e lance incendiarie. Ne fummo deliziati. La lotta raggiungeva nuovi livelli.

Nella banda di Milo, così si chiamava il ragazzo, scoprii che la violenza organizzata raddrizza la spina dorsale, crea ordine e gerarchia. Io ero come sempre al limite, tra i piccoli e i grandi, avevo solo quasi dieci anni, per cui un giorno facevo da vittima e l’altro aiutavo a fare vittime. Colpire qualcuno per confermare l’appartenenza ha un sapore tutto diverso dal farlo perché lo vuoi. Solo a quel punto puoi sentire disgusto, o ambizione, a seconda della tua natura. Io non ebbi il tempo di formarmi una morale perché altri fatti incalzavano. Sul finire di agosto, mentre giocavamo a demolire un muretto, le famose torce fecero quello che era nella loro, di natura: diedero fuoco all’erba secca, alle travi spezzate, e in pochi minuti tutto il nostro ettaro di libertà fumava.

Allora venne l’eclissi. La temperatura scese di colpo e sentii gli uccelli cantare. Chiusi gli occhi e il primo spicchietto di sole era già sparito, la linea di confine brillava da bruciare la retina. Tra le foglie della vite selvatica passavano raggi mutilati, che incidevano nell’ombra centomila mezzelune. Era il colmo dell’estate e non mancava molto al risveglio degli dei.  Come si mossero veloci le fiamme! Scappando ci giravamo a guardarle, perché erano belle.

E subito dai palazzi, dalle poche macchine del viale, dai letti sudati scesero in nero stormo i genitori. Prima impauriti, attoniti, poi furiosi, mentre si spandeva la notte soprannaturale e dal suolo si alzavano le fiamme rubate ci presero lungo il muro per le braccia e per le orecchie. Era solo un fuocherello ma Milo fu schiaffeggiato di fronte a me, assieme a me, così forte che la nostra colpa sembrò il buio. Mille anni prima forse ci avrebbero ucciso sul posto, per risarcire il sole. Il giorno dopo avrei avuto dieci anni.

Non ricordo il ritorno della luce. So che la banda fu sciolta, ognuno costretto in casa a scontare da solo le sue colpe. In così poco tempo avevamo percorso e anticipato tutta la storia dell’uomo, dalle caverne alla guerra nucleare, alla solitudine che certamente ci aspetta dopo il giudizio. Ripensandoci ora, è tutto così chiaro da apparire irreale.

Cos’è successo dopo? Oh, non c’è nessun dopo. Io devo essere andato via per sempre”.

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Una risposta a Un ricordo dell’eclissi

  1. vincibile ha detto:

    È uno struggente rievocare fantàsimi, tra i quali uno morto fresco.

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