Nel prolifico non essere

Visto il fragoroso e crescente insuccesso del Memoriale del Phez, interrompiamo momentaneamente la noiosa decifrazione per pubblicare un frammento Spallanzanesco. Si tratta, a quanto pare, di una sorta di dialogo immaginario tra l’Elia e sir Bertrand Russel intorno al vecchio paradosso degli insiemi e al cuore del linguaggio.

<<Elia: Supponiamo di fare una lista di tutte le cose che sappiamo (es. quanti satelliti ha Giove, quando è stata scoperta l’America) e una lista delle cose che non sappiamo (dov’è finito il Graal, qual è la strada di un uomo nella donna etc). Chiamiamole Lista S e Lista N.  E’ ovvio che se un elemento sta nella lista S non può stare nella N e viceversa. Ma la lista delle cose che non sappiamo, in che lista sta?

Sir Bertrand Russel: Quale tedioso esercizio.

Elia: Attenzione! In effetti noi la lista delle cose che non sappiamo la “sappiamo”, anche se può apparire infinitamente lunga. Per altro, se la mettessimo nella “lista delle cose che non sappiamo”, come potremmo fare la “lista delle cose che non sappiamo”, visto che non la sappiamo?

Bertrand: Il suo commento è dettato da ineducata empiria.

Elia: Sarà, però così ricadiamo nel paradosso: perché la lista delle cose che sappiamo, che non dovrebbe contenere neppure un elemento che non sappiamo, finirebbe invece per contenere anche tutta la lista delle cose che non sappiamo. No?

Bertry: Se lei si decidesse a leggere i miei Principia invece di fare logica d’accatto…

Elia: Aspetti, sir. Forse è più facile capire con la lista delle cose che ho e che non ho. Tra le prime, una certa tendenza alla grafomania, tra le seconde, una certa femmina. La lista delle cose che non ho, io ce l’ho. Ho la lista ma non le cose che contiene, perché la lista è solo il nome di certe cose in base a una loro caratteristica comune. Tutti i nomi sono solo liste e possono contenere infiniti elementi, uno solo, o anche nessuno.

Bertry: Non voglio nemmeno perdere tempo a farle notare che lei con “nome” intende in effetti “classe”.

Elia: Va bene va bene però un momento: la lista delle cose che ho non è un puro nome, è anche una cosa tangibile, che potrei anche perdere, come perdo le altre cose, e quindi finirebbe nella lista delle cose che non ho. Allora potrei farne un’altra, che sarebbe indistinguibile dalla prima e quindi a tutti gli effetti sarebbe la prima. Così la lista delle cose che ho sarebbe nella lista delle cose che ho e anche in quella delle cose che non ho, o non avevo, o non avrò mai.

Sir: Ma questo è ovvio…

Elia: Forse però no, caro Bertrand. Il problema che pongo è un po’ diverso da quello delle liste che comprendono sé stesse. Nel nostro caso c’è una lista S che contiene una lista N che contiene elementi che non hanno nulla di S. Cercherò di fare un altro esempio, fin troppo semplice…

Il Sir:  Purtroppo questo autobus non si decide ad arrivare

Elia: …l’insieme dei Nobili Decaduti contiene l’insieme dei Marchesi Decaduti, che contiene il sotto insieme (già di per sé piuttosto vasto) dei Marchesi Decaduti Che Stanno Per Sposare Servette.  Orbene, è chiaro che ogni elemento del sottoinsieme, oltre a essere promesso sposo, è anche marchese decaduto, ed è anche nobile decaduto: gli elementi del sotto insieme hanno una caratteristica in comune con quelli dell’insieme, e così via.

Il Sir: Yawn… mi complimento per la sua laboriosa ovvietà.

Elia: Grazie. Però, tornando a quel che dicevo prima, c’è una grossa differenza, perché nel caso della “lista delle cose che sappiamo” (che comprende la “lista delle cose che non sappiamo”), pare che gli elementi compresi nella seconda lista (le cose che non sappiamo) non abbiano alcun elemento in comune con il superinsieme delle cose che sappiamo, pur essendovi contenute.

Bertry: Guardi non la seguo però se vuole seguiti, seguiti pure…

Elia: Però, a ben pensarci, questa è solo un’illusione. E non per via della storia del divieto per gli insiemi di contenere sé stessi, visto che ciò non avviene, bensì per una ragione molto più semplice, talmente semplice che non si vede subito:  le cose che non sappiamo, sappiamo di non saperle. Dunque qualcosa la sappiamo, di queste cose che non sappiamo, e perciò è corretto che stiano nella [lista delle cose che sappiamo [[lista delle cose che non sappiamo]].

Bertry: Temo che il suo discorso resterà impenetrabile finché non inventerà anche dei segni tipografici fonetici.

Elia (sempre più introverso): In effetti, la lista delle cose che letteralmente non sappiamo dovrebbe essere vuota, perché non le sappiamo, e non sappiamo nemmeno che non le sappiamo. E’ singolare però che noi siamo in grado di pensare ad una lista (vuota) delle cose che assolutamente non sappiamo, mentre non siamo assolutamente in grado di immaginare alcun elemento di questa lista. Se lo immaginassimo, infatti, due sarebbero i casi: 1, lo sappiamo, e non va nella lista; 2, non lo sappiamo, ma sappiamo che c’è, quindi non va nella lista. Tautologicamente, si potrebbe dire che non possiamo pensare ciò che non possiamo pensare, ma possiamo pensare a qualcosa che contiene ciò che non possiamo pensare. E questo possiamo tramite il linguaggio.

Bertrand: C’era un mio allievo austriaco che diceva di qualcosa di simile. O meglio, l’avrebbe detto se io fossi rimasto scioccamente ad ascoltarlo.

Elia: Sa, ho come la sensazione che sia sempre la stessa persona a parlare .

Bertrand Russel: Ahahahahahaah ragazzi sta capendo…

Elia: No ma seriamente, in queste sciocchezze è contenuto qualcosa, anche se qualcosa di sbagliato. Come avrebbe potuto la mente percepire la possibilità di alludere all’innominabile, non come ente ma come categoria, senza il linguaggio?  Il negro primitivo che si aggirava per la foreste del Sahara poteva indicare le erbe, gli animali, i poponi, ma non poteva indicare quello che non c’era. QUEL NEGRO FELICE NON CONOSCEVA CHE L’ESSERE.

Il Sir: Forse ignorava addirittura il concetto di negazione.

L’Elia: Ma certo! Non era in grado di pensare, e tantomeno di dire, “oggi non piove”. Come avrebbe indicato la “non pioggia”?  Gli serviva una parola (pioggia) e un privativo (a-pioggia).  Ma come ha fatto ad arrivarci? La parola, e va bene, la prendeva dall’essere, ma la negazione?

Il Sir e i passanti: Come ha imparato, dove ha “visto” il non?

Elia: Il suo cervello rudimentale deve essersi esercitato coi disegni: un bue, la cancellazione di un bue, cioè il non bue. Solo vedendo quel segno (scritto!) ha potuto conoscere la categoria della negazione (ma non ovviamente i suoi membri, che non esistono: egli però deve avere riflettuto che era curiosissimo poter nominare il non essere e non il non essente).

Bertrand: Ma allora questo è solo un circolo vizioso, perché il pensiero superiore non può nascere senza la scrittura e la scrittura non può nascere senza il pensiero superiore.

Elia (ormai irrefrenabile): Noi (voi) salviamo e veneriamo incisioni di animali, disegnini di cervi e mani rosse sulle pareti dei monoliti, ma la rappresentazione di ciò che si vede è una forma elementare di ragionamento, persino alcune scimmie ne sono capaci: disegnano facce, tavoli, ciò che vedono, come macchie. Ma quale scimmia è in grado di cancellare il disegno e pensare “la negazione di un viso”?

Bertry: Comunque trovo che la forma del dialoghetto sia il più volgare artificio divulgativo.

Elia (in crescendo): Ma taci! Le opere d’arte fondamentali sono sempre nascoste. E’ una legge della vita che il volgo possa accedere solo alle forme inferiori del pensiero. Il vero capolavoro dell’arte neolitica è una pietra raschiata, forse risciacquata per anni fino a tornare liscia. Un oggetto che al volgo appare semplicemente una pietra come le altre, abbandonata al bordo della strada. E invece è il primo disegno del “non”, il primo sguardo sull’altra metà dell’universo!

Bertry: Puah!>>

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5 risposte a Nel prolifico non essere

  1. Urizen ha detto:

    Una lista delle cose che non esistono è presente nel “Vocabolario totale della lingua tedesca” di H. J. Alle, stampato a Lipsia nel 1763. L’Alle raccolse nella sua opera, dalla A alla Z, non solo tutti i lemmi della lingua tedesca dotati di senso, ma anche tutte le combinazioni di segni fonetici pronunciabili, ponendo di fianco a queste combinazioni insensate di lettere la dicitura “il senso di questa parola è ancora sconosciuto”. L’Alle, nell’introduzione dell’opera, sosteneva in effetti che, essendo il tedesco la lingua originaria parlata dal Signore Iddio Creatore, esso doveva contenere in sé il senso di tutte le cose esistenti nel cosmo, delle quali egli, nella sua infinita umiltà, riconosceva gli uomini essere perlopiù ignoranti. La parte forse più interessante di quest’opera monumentale è poi la parte combinatoria, come si sa il tedesco infatti consente ampie germinazioni di parole composte dalla somma di altre parole, con risultati talora parossistici: in questa sua opera di composizione l’Alle si produsse in fantasiose paraetimologie rovesciate, nelle quali immaginando il significato futuro di combinazioni ancora prive di un significato loro, produceva voci che a tutti gli effetti possono essere considerate come capolavori della letteratura di immaginazione, e talora esempi precoci di vera e propria fantascienza, con risultati talora spiazzanti e anticipatori dei futuri sviluppi sociali della Germania.

    • eliaspallanzani ha detto:

      Dovresti dirci di più di quest’opera improbabile, che si pone comunque nel solco della tradizione rabbinica così ben rappresentata dal sefardita B. O. Erges. Costui argomentava la parola divina non poter essere mai sprecata e quindi tutte le lettere della torah dover corrispondere a un ente, e nel complesso all’universo (noto e ignoto). Da cui in sostanza una lingua composta non 20, 30 o 50 fonemi, ma da ogni singola lettera della scrittura, in ogni singola posizione (di modo che la “m” iniziale della prima parola è diversa da quella finale, o da qualsiasi altra “m” del testo, e ognuna di loro significa qualcosa, anzi E’ qualcosa.

  2. vincibile ha detto:

    Come dicette Sograte: Data la totalità delle cose sapìbili, circoscrivo il sottiinsieme delle cose che so e, con l’operazione di complementarità, creo il dominio di tutte le restanti cose le quali non so. Detto sottinsieme appartiene a sé stesso: in generale non so le cose che non so e le cose che so di non sapere non è che le so in quanto cose, ma so il non saperle, che dunque va nell’insieme delle cose che so.

  3. eliaspallanzani ha detto:

    questo se le cose che non sai fossero solo il negativo di quelle che sai, ma così non è.

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