“Quello che scrivo non ha molto senso. C’è divertimento e religione e orrore psicotico sparpagliati come un mucchio di capelli. E c’è anche una deriva sociale o sociologica… più che verso le scienze esatte, e l’impressione complessiva è infantile ma interessante. Non è una persona raffinata, quella che scrive. Tutto è ugualmente reale, come gioielli da bigiotteria nel vicolo. Una mente fertile e creativa che vede costantemente gli scenari che mutano, il serio che diventa buffo, il buffo triste, l’orribile esattamente quello: del tutto orribile come se fosse la pietra di paragone di quello che è reale. […] Certamente vedo l’accidentalità del mio lavoro, e vedo anche come questo vasto rimescolamento di possibilità dopo possibilità riesca alla fine, dato il tempo necessario, a giustapporsi e a dischiudere qualcosa di importante automaticamente trascurato in un modo di pensare più ordinato. Patafisica. […]
Perché nulla, assolutamente nulla è escluso (come non degno di essere incluso), offro un carniere ampio ed eterogeneo… da cui tiro fuori porte che funzionano a monete e Dio. E’ un circo del cazzo. Io sono come un corvo dalla vista acuta che adocchia qualsiasi cosa che scintilli, e l’afferra per aggiungerla al mucchio. Chiunque abbia la mia attitudine potrebbe semplicemente imbattersi per puro caso e fortuna – nella sua vera vita, vale a dire la vita della sua mente – nell’autentico Dio camuffato, il Deus Absconditus, provando strane combinazioni di cose e luoghi, come un computer ad alta velocità (sic) che processa ogni cosa; potrebbe anche far colpo su un dio circospetto, potrebbe coglierlo di sorpresa sbucando da qualche parte in modo inaspettato. […]
Il dio pazzo James-James ha cominciato a generare un mondo dopo l’altro, mondi senza relazione fra loro, mondi dentro mondi. Mondi falsi, falsi mondi falsi, astute simulazioni di mondi, opposti speculari di mondi. Come faccio io nei miei racconti e romanzi (per esempio Le tre stimmate e Il gatto). Io sono James-James. Ho creato un mondo fra tanti e ci sono entrato e mi ci sono nascosto. Ma la polizia mi ha trovato – la polizia nonterrestre – e ha tentato di imbrogliarmi con la lettera Xerox. […]
‘Ma stai scrivendo qualcosa di serio?’ Notare la parola. Cazzo. Se non potessero costringerci a scrivere cose serie risolverebbero il problema stabilendo per decreto che quello che stavamo scrivendo era serio. Prendere una forma pop come ‘seria’ è quello che si fa se non c’è modo di liberarsene. […]
Ero stato parzialmente psicotico per anni e nel 3-74 ho avuto il crollo definitivo. A causa di un vero e proprio stress. (La faccenda delle tasse). Come Cordwainer Smith, sono stato catturato dal mio stesso universo fantascientifico. Schizofrenia con colorazioni religiose e paranoidi[…]
e adesso mi sfinisco nel tentare di spiegare il 3-74. Ero avvelenato dal litio. E ho avuto un crollo schizofrenico. La mia mente monitora la mia ‘anamnesi del missile’ come una chiave di una psicosi precedente. Ho bisogno di atmosfere romantiche (avventura) nella mia vita. La voce dell’IA è un tipo speciale di allucinazione, una di soddisfazione dei desideri e dei bisogni, per via della solitudine: inedia emotiva, dolore e maltrattamenti. Non posso proprio sopportare la vita senza quella voce amorevole che mi guida, così regredisco a un livello (atavico, in termini storici) in cui può avere luogo una tale esperienza bicamerale (come in Scrutare). La voce dell’IA è la mia immaginaria compagna di giochi, mia sorella, evoluta dalle mie fantasie infantili di ‘Bill e Nell’. […]
Be’, dannazione… non ho rimpianti. Ha reso una vita sterile e timorosa significativa e sopportabile […]
Ma credo che quando tutto il resto andava a rotoli e le pressioni interne ed esterne mi facevano precipitare nella psicosi, Dio mia abbia preso sotto la sua protezione personale e mi abbia guidato e salvato con il Suo divino amore, misericordia, sapienza, e grazia attraverso Cristo… anche se non, forse, come io illusoriamente immaginavo.”
Questi sono alcuni frammenti dell’Esegesi di Philip Dick, pubblicata parzialmente. Come l’ologramma che nomina di continuo, ogni frammento della mente di Dick sembra contenere l’intero. Il testo caotico, atrocemente ripetitivo e spesso illeggibile, include anche la sua ragionevole confutazione, e la confutazione della confutazione. Non è solo un documento clinico (anche se è per la maggior parte un documenti clinico), ma la testimonianza letteraria di una battaglia contro la follia, non per distruggerla, ma per usarla. Dick non voleva semplicemente essere sano, voleva tenersi la parte folle e metterla al servizio della sua ricerca della realtà, non rifiutando a priori nessuna ipotesi, nemmeno quella di essere pazzo, per vedere, risvegliarsi. E la cosa stupefacente è che per molti versi Dick quella battaglia la vinse. Nei suoi ultimi romanzi (specie Valis), che sono la sintesi della sua sterminata Esegesi, Dick rimane talmente in bilico tra la consapevolezza e la psicosi, il delirio e l’ironia, che non si può fare a meno di amarlo.
P.S.
“Nel novembre del 1971 ci fu un’effrazione nella casa di Dick a San Rafael. Gli intrusi usarono degli esplosivi per scassinare la cassaforte, a prova di incendio. Vennero rubati dei manoscritti e degli assegni annullati, oltre a uno stereo e a una pistola. Dick speculò per anni sull’identità e le motivazioni degli intrusi; sotto molti aspetti questo interminabile teorizzare prefigura il 2-3-74 e la stesura dell’Esegesi. Dick costruiva un’elaborata teoria sull’effrazione, completa di motivazioni e metodo, solo per gettare via questa teoria creata con tanto impegno quando un’altra entrava nella sua mente. Dal profilo di Paul Williams su Rolling Stone appare che l’ossessione di Dick per l’evento crebbe nel tempo e alla fine cominciò a fagocitare la sua vita. L’ipotesi più dickiana fu avanzata dalla polizia: sarebbe stato lo stesso Dick a scassinare casa sua. Quando i poliziotti smisero di rispondere alle sue telefonate Dick cadde in un’altra fase depressiva, scrivendo a Williams, probabilmente scherzando solo in parte, che ‘da quando la polizia ha perso interesse in me non c’è più niente per cui valga la pena di vivere’.”
Non sono all’altezza per entrare in un merito così allucinatorio. Di Philip Dick avevo letto solo il celeberrimo “Minority report”, tradotto da qualcuno che non era entrato delle mie corde. E da allora la mia passione per la fantascienza ha preso altre strade .
Leggendoti mi sono chiesta se Dick è il tuo alter ego; ho provato una sensazione di desolazione constatando come le migliori sensibilità siano costrette ad una vita di sofferenza interiore molto forte e che la creatività (ovunque si manifesti) è strumento di liberazione per l’artista e per chi è in grado di usufruirne.
la Fondazione non è minimamente folle, anzi è fin troppo ragionevole, per cui tra l’altro non crede in un particolare potere della creatività, se pure ci fosse; ammira però il coraggio di non dare le cose per scontate, che (ad es. in Dick) non è solo una questione intellettuale, ma diremmo etica, nella speranza (che poi è vecchia di almeno 2500 anni) che la verità, il significato, la bellezza e la compassione esistano e siano in definitiva un’unica cosa.
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