Dopo le note su CSI volevamo parlare di Cold Case (sì, non abbiamo la pay, guardiamo solo le serie della Rai) ma siamo stati preceduti: Donatella Izzo ha scritto un articolo molto interessante, che esamina gli stessi punti cui avevamo pensato noi e dice anche molto di più.
Riassumendo grossolanamente, l’autrice parte dalla considerazione che la letteratura poliziesca sembra aver ereditato la funzione della teodicea, ossia fornire una base razionale alla fede del soggetto in un’entità trascendente (Dio, poi lo Stato): “Attraverso la messa in scena narrativa dell’efficacia della legge, il poliziesco crea un legame fra il soggetto-cittadino e lo stato basato sulla promessa (sempre differita) della giustizia“. In tal modo si nasconde la dura realtà (lo stato è tale perchè ha il monopolio della violenza) dietro un attributo di legittimità (lo stato è tale perchè giusto).
Si nota poi che in Cold Case vengono celebrate le sorti magnifiche etc, perché il presente appare sempre migliore, più progredito del passato. Spesso alla base del delitto c’erano il pregiudizio, la discriminazione, la violenza contro le minoranze e contro le donne, ma queste “cause sociali del crimine sono al tempo stesso riconosciute – ricostruendo moventi di povertà, razzismo, sessismo e omofobia – e represse, rimuovendole dalla scena del presente col proiettarle come realtà del passato“.
L’indagine inoltre non si limita a ricostruire il crimine ma “lo redime, producendo guarigione e ‘closure’, dando pace ai morti“, come è fin troppo evidente dalla scena finale di ogni episodio, in cui i detective ripongono la scatola con i documenti del caso in una sorta di cimitero burocratico e appare anche il fantasma della vittima.
Sul fantasma l’autrice si trattiene parecchio e scartando l’ovvia interpretazione metaforica preferisce ipotizzare che vada preso sul serio, cioè come un vero spettro, il che costituirebbe “una larvata risacralizzazione del poliziesco, che ne inverte l’originaria funzione culturale di spostare il terreno ultimo della giustizia dalla dimensione religiosa a quella secolare, e di porre lo stato come suo agente“.
Ecco quindi, ed era in un certo senso inevitabile, che l’ideologia di Cold Case finisce sostanzialmente per coincidere con quella che noi europei educati e di sinistra siamo abituati ad attribuire agli americani: una sorta di cieca fede nel valore della propria missione terrena.
Con tutti i limiti di una lettura veloce e di un riassunto parzialissimo, ci sembra che l’articolo sia un’interpretazione possibile, ma ancora di più una spia del nostro modo di interpretare. Viene da dire che la tesi sembra un po’ troppo “giusta”, un po’ troppo aderente a idee che avevamo già. Cercando per un istante di dimenticare quel che pensiamo degli americani, ci viene in mente che noi, per esempio, guardavamo Cold Case specialmente per la musica, che spesso ci ricordava l’adolescenza.
La bellezza (o almeno l’efficacia) della colonna sonora del telefilm è generalmente riconosciuta, ma nell’analisi questo elemento viene del tutto ignorato: come si ignora la possibilità che lo spettatore, anche attraverso la musica, possa provare nostalgia per il passato ricostruito in Cold Case.
Quanto a un elemento genericamente trascendente, è indiscutibile che ci sia, anzi è persino grossolano (magnifici americani! chi di noi avrebbe osato un’immagine così frusta e ridicola come quella del fantasma?). Ma questi fantasmi non ricordano un po’ quelli che appaiono alla fine di “Guerre Stellari”? Sono spettri senza una divinità alle spalle, qualcosa di molto vago, e la Giustizia con la maiuscola che trionfa in Cold Case è molto moderna: colpisce razzisti, maneschi, fascisti (omicidi)… come se questi crimini “odiosi” meritassero la punizione più di quelli normali, del tipo ammazzare qualcuno per soldi. Tutto ciò che in passato poteva rendere in qualche modo “comprensibili” questi reati viene spazzato via, il passato viene valutato con gli occhi del presente, come quando si cancella la parola “negro” da una vecchia edizione del “Negro del Narcissus”. Ciò che si veste di sacro, in altre parole, sembra un nostro desiderio di correttezza, così forte da stravolgere, in alcuni casi, la funzione tradizionale dell’indagine: che è quella di ricostruire l’ordine sociale violato e non, magari a cinquant’anni di distanza, di sconvolgere l’ordine che dopo il delitto si era pur ricreato.
Non c’è una vera conclusione.