E’ già diverso tempo che il nostro amico Raffaele “hotbutt” Ventura si sta occupando di alcune stranezze dell’economia moderna, e in particolare del ruolo del consumatore – produttore culturale. In questo campo una delle domande ricorrenti è: quando inserisci in rete i tuoi dati e/o le tue idee, stai lavorando? C’è qualcuno che ti sta ingannando, dandoti l’impressione di giocare e consumare, mentre invece ti utilizza per i suoi fini?
Non lo sappiamo però ci torna in mente un libro di Philip Dick, Tempo fuor di sesto (o “fuori luogo”, o L’uomo dei giochi a premio).
(segue spoiler)
Il protagonista della storia si guadagna da vivere partecipando al concorso quotidiano di un giornale locale, “Dove apparirà l’omino verde?”. In pratica si tratta di indovinare, sulla base di alcuni indizi, in quale delle 1208 caselle del tabellone di gioco apparirà l’alieno.
Ma come in tutti i libri di Dick quel che appare non è la realtà. Il protagonista scoprirà che non sta affatto giocando, ma lavorando, e anzi che dal suo lavoro dipendono le sorti del mondo.
Anche questa volta il genio di Dick ha anticipato il futuro (benchè il suo personaggio venga pagato, mentre noi “perditempo per la gloria” no, e benchè il suo lavoro valga , mentre il nostro probabilmente no), e questa storia è illuminante perchè fa emergere il vero problema: non importa se il mio sforzo sia lavoro o no, quel che conta è che io non so più quali sono i “mezzi di produzione”, non controllo l’uso che verrà fatto della mia attività, anzi a volte non so nemmeno che ne verrà fatto un uso.
Chi domina l’informazione domina l’economia, chi controlla l’apparenza controlla il reale. Come il tempo, l’economia è fuori di sesto perchè al mondo reale si è sovrapposta una gigantesca falsificazione.
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Hotbutt ?
non fare il finto tonto…
Non conoscevo questo romanzo. Devo procurarmelo il prima possibile.
Vero è che è sempre più difficile distinguere chi produce da chi consuma. Basta fare due salti su facebook, o leggere delle cause di google, per farsene un’idea: ma un’idea vaga non basta, bisogna lavorarci su. Magari Philip Dick ci aiuterà.
Mi ricorda alcune considerazioni di Anders in “L’uomo è antiquato”.
Mai letto. Che dice?
Che il lavoratore moderno, limitandosi alla ripetizione di specifiche attività, non ha alcuna consapevolezza della finalità del suo lavoro e, quindi, non può identificarsi con questo; che la ripetizione di frammenti di attività esige un minimo sforzo psico-fisico e, riducendosi a un aspettare (che si renda necessario l’intervento del lavoratore), diventa un “servire” piuttosto che un “fare” (con la conseguenza che aumenta la considerazione sociale dello sport e del tempo libero, che acquistano una funzione di compensazione: l’ozio diventa lavoro e viceversa).
https://eliaspallanzanivive.wordpress.com/2017/04/19/il-gioco-come-lavoro/