La libreria invisibile

Nell’antologia Racconti matematici c’è anche La biblioteca universale di Lasswitz, considerata una delle fonti di ispirazione della Biblioteca di babele di Borges. E’ probabile però che il grande cieco l’abbia usata solo come modello da evitare, perchè Lasswitz è tanto ottimista e pedagogico quanto Borges è vertiginoso e cupo. Oltre all’idea fondamentale (che come è noto non ha nessuna importanza, né paternità), i due racconti hanno in comune solo un pizzico di ironia. Si potrebbe anzi affermare che  lettura del precursore riduce e contamina l’opera di Borges, per cui la sconsigliamo nettamente.
Ci torna invece alla mente una nota di Spallanzani, contenuta nello zibaldone Raccontalo alle cenere, in cui il nostro descrive una popolazione selvaggia dell’Africa subequatoriale. Questi indigeni sono rimasti quasi all’età della pietra, ignorano la scrittura e utilizzano le foglie di uno strano albero simile al platano per ricavarne tessuti e indumenti. La fibra ottenuta è chiazzata e l’esploratore intravede una curiosa regolarità delle macchie, che sembrano riconducibili a venticinque forme fondamentali variamente combinate. Allora prova a sostituire ogni segno con una lettera e, meraviglia, dopo molti tentativi ottiene una piccola frase di senso compiuto. Sono gli alberi che “stanno parlando”? O è l’esploratore che sta sovrapponendo la sua idea di scrittura a un fenomeno puramente casuale? In ogni caso gli indigeni non se ne danno per inteso e continuano tranquillamente a pavoneggiarsi nei loro gonnellini-biblioteca.

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4 risposte a La libreria invisibile

  1. Leonetto ha detto:

    Anche Primo Levi riprende il tema nel racconto L’amico dell’uomo dalle Storie naturali, con le tenie al posto degli alberi.

  2. eliaspallanzani ha detto:

    brauo levonetto, il legame c’è ma il Nostro intendeva soprattutto insinuare che potremmo già vivere nella biblioteca di babele e non avvedercene neppure.

    • Leonetto ha detto:

      Per avvedersi della realtà della Biblioteca nel mondo bisogna non credere nella Provvidenza, nel Grande Complotto, nel Logos, nella cosiddetta Razionalità Universale; si deve resistere al vizio di ricercare algoritmi e regolarità disposte da un’Intelligenza Creatrice, ci si deve opporre all’idea stessa di Intelligenza e Creazione (la Biblioteca non crea, essa realizza il possibile, che è dato da sempre nel regno della potenzialità), e smetterla di usare maiuscole. Bisogna avere fede solo nella generazione spontanea e insensata della moltitudine dei segni, e i significati, solo quelli sono frutto di creazione, e perciò anche di errore. Ma questo, eccetto forse l’Elia, nessuno lo ritiene veramente, non certo i credenti nell’ordine divino per interposto dogma, magistero o rivelazione, e nemmeno gli atei e gli scettici. Questi, poi, sono per natura persone brutte, frustrate, arrabbiate. Possono essere immuni all’illusione del disegno divino, però la loro inevitabile e inconfessata disperazione – può mai star sereno uno che rinuncia all’idea di salvezza? – li espone al vizio della macchinazione pseudorazionale, del piano diabolico, chi mi fa ciò? perché proprio io in questo universo di mirabile e democratica casualità? cosa c’è dietro? Della Biblioteca essi concepiscono la possibilità, ma non ne accetterebbero mai la verità, che non consola. E’ più grato all’anima in pena, se proprio Dio ha smesso di governare l’universo, sostituirlo con vicari un po’ meno trascendenti, magari improbabili uguale, ma pur sempre imputabili dei Suoi misfatti (che invero sono i nostri): la Biblioteca non può risponderne, lo possono gli Illuminati, lo Stato delle Multinazionali, la SCU, Berlusconi, i vicini di casa, la Fondazione.

      Solo chi non conosce debolezza e non teme più nulla può davvero realizzare che la Biblioteca è ed è sempre stata e non c’è altro, nemmeno la responsabilità.
      Il complotto, come è noto, deresponsabilizza chi ne è vittima. E più è totalizzante più grande è la discolpa cui è finalizzato. Ma chi, chi non è responsabile in questo mondo? I bambini e i pazzi, e solo per disposizione di legge o secondo gli ultimi ritrovati della scienza psichiatrica, ma anche loro hanno esperienza del rimorso, che è il fantasma della colpa.

      Troppo grande è la mia debolezza per non cedervi, troppo solitaria la mia colpa in mezzo a un universo non incriminabile: da tempo colgo indizi ambigui e ineffabili di una cospirazione che mi ha per oggetto o per strumento, non so ancora se a mio danno o per la mia salvezza. La Fondazione, savasandir, ne fa parte, probabilmente ne è il cuore. Mi dico che la cospirazione è illusoria, che non c’è nulla di personale, che la Biblioteca è un’ipotesi elegante, economica, verosimile e ragionevole, che in realtà questi sono i segni e la prova che la Biblioteca esiste ed essa stessa li ha generati, senza ragione alcuna. Queste cose mi dico, ma è inutile.

  3. Pingback: Il Castello del Se | Fondazione Elia Spallanzani

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