Spallanzani, si sa, non era uno che scriveva molto. Quando gli veniva un’idea e l’aveva esposta in cinque o dieci righe, si seccava poi di fare il resto. Non gli piaceva proprio quello che definiva il “pregiudizio mimetico in letteratura”, cioè il vizio di descrivere luoghi e persone, congegnare dialoghi, costruire faticosamente tutto lo sfondo di cartone. “Se volessi mostrare le cose, farei il fotografo”, diceva sempre agli studenti dei corsi di letteratura creativa. Insomma Spallanzani era contro la natura e un po’ anche contro la vita, come dimostra uno dei suoi racconti più brevi, che non ha neanche titolo:
<<Si tratta di un breve scambio epistolare, un soldato della seconda guerra mondiale che scrive alla mamma dal fronte. Contrariamente al vizio dei letterati e in spregio dei bisogni del pubblico, il soldato e la mamma non si esprimono affatto come dei semi analfabeti degli anni ’40. Spallanzani riteneva infatti che il suo lettore fosse abbastanza intelligente da immaginare lo stile di questi personaggi, o comunque da capire che lo stile “analfabeta anni ’40” di Spallanzani non era per niente simile a quello reale (che già di per sè non aveva nessun pregio).
Babbè. Ciò detto, gli scambi di lettere procedono normali per un po’ finchè il soldato comincia a dire che si è inoltrato in una terra buia. Le sue lettere prendono allora un tono solenne e allucinato (che Spallanzani si guarda bene dal riprodurre, bastando dire che è solenne e allucinato), cui la mamma risponde con i poveri, buoni consigli del popolo. Pian piano il soldato aggiunge sempre nuove atrocità, dando nettamente l’impressione di trovarsi in un luogo infernale. Aleggia su tutto un tono luttuoso, che fa presagire il peggio. Le ultime lettere del soldato sono così spaventose, raccontano di tali tormenti che la madre non può far altro che intuire l’orrenda verità e pregare per la sua anima: l’ultima lettera della madre è un prodigio di amore e dedizione al figlio perduto.
Nella scena finale il soldato torna al paesello e corre dalla madre, solo per scoprire che la vecchia casa è stata rasa al suolo da una bomba. Sua madre è morta sei mesi fa. Allora le lettere? Fantasmi, lo scrivano del paese (la madre infatti non sapeva scrivere), un errore di smistamento? Anche in questo caso lo scrittore non si sforza di ricostruire un effetto emotivo posticcio, lasciando che ogni singola parola faccia il suo sporco dovere: perchè “Il linguaggio è la morte al lavoro”.>>
- Follow Fondazione Elia Spallanzani on WordPress.com
-
Articoli recenti
Commenti recenti
Ciuip
I miei CinguettiiCopertine
Il passato
Libri
Meta
Pingback: “Lo scandalo sessuale del grande centro di calcolo in Molise” | Fondazione Elia Spallanzani